Racconti d’estate per “La Voce”. 12^ puntata: Il “Leone” e la pastorella

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Proponiamo oggi, nel nostro dodicesimo racconto estivo, un’antica leggenda popolare rivisitata. Buona lettura!

pastorella_1Sulle montagne dell’interno della Sicilia, le persone anziane raccontano una storia avvenuta alcuni secoli fa.

Si dice che in una zona ricca di grotte carsiche abitasse una volta un uomo, che si nascondeva tra quelle grotte perché – dicevano – era brutto e cattivo e aggrediva le persone che si trovavano a passare per quelle montagne. Aveva barba e capelli lunghi di colore rossiccio che gli conferivano un aspetto simile a quello di un leone con la criniera, e per questo, dimenticato il suo vero nome, tutti lo chiamavano con l’appellativo di “Leone”.

Viveva anche, in quelle contrade, una giovane fanciulla di nome Marpisa, che faceva la pastorella e andava in giro per quei posti a far pascolare le pecore. Nonostante le dicerie che correvano sulla presenza del “Leone”, lei non aveva paura, perché si sentiva protetta dal cane che la seguiva sempre, un grosso cane lupo che aveva da quando era cucciolo, affettuosissimo con lei, ma con un forte istinto di protezione nei confronti della fanciulla e delle sue pecore. Inoltre portava sempre con sé un grosso bastone nodoso che usava per governare il gregge e con il quale all’occorrenza lei pensava di potersi difendere.

Qualche rara volta Marpisa aveva intravisto il “Leone” da lontano, ma si era subito nascosta in una grotta per non farsi vedere. Un giorno di primavera, decise di portare il gregge a pascolare in un posto chiamato le “tre piazze”, perché c’erano tre larghi spiazzi sul fianco della montagna ricchissimi di erbetta verde. Non ci andava mai nessuno, perché si diceva che proprio in quella zona ci fosse la grotta abitata dal “Leone”, ma Marpisa, desiderosa di dare alle sue pecore l’erba migliore e sprezzante del pericolo, si avventurò lungo il sentiero che conduceva alle “tre piazze”, e addirittura si azzardò a scendere fino alla più bassa, dove l’erba era più fitta e verde.

Mentre le pecore si godevano il loro pasto, Marpisa si sedette su una grossa pietra e posò il suo bastone a terra, accanto a sé. D’un tratto si sentì afferrare alle spalle, ma non fece in tempo a prendere  il bastone perché la stretta era molto forte e non le permetteva di muoversi. Lanciò allora un urlo disperato, sperando che qualcuno la sentisse – cosa alquanto difficile in quel luogo desolato – ed anche per richiamare il suo cane che si trovava dall’altra parte dello spiazzo. Marpisa si sentì poi sollevare da terra e trasportare dentro una delle grotte della zona. Cercò disperatamente, ma inutilmente, di divincolarsi, continuando a gridare con quanto fiato aveva in gola. Capì che chi l’aveva afferrata e trasportata dentro la grotta era proprio il “Leone”. Nel frattempo il suo cane, che aveva sentito le urla, era arrivato di corsa, ma si era fermato, abbaiando, all’ingresso della grotta, perché il forte odore di selvatico che emanava quell’uomo ed il suo aspetto animalesco intimorivano anche lui.

Ad un certo punto, però, Marpisa si rese conto che la stretta dell’uomo era forte, sì, ma non le faceva male. Allora si tranquillizzò un poco, si rilassò e smise di urlare. Provò a muoversi e ci riuscì. Si girò allora piano piano per vedere in faccia il famoso “Leone”, che nessuno aveva mai visto da vicino. Il suo primo moto istintivo fu di paura e di ribrezzo, perché l’aspetto di quell’uomo era veramente spaventoso. Il “Leone” la guardava senza dire una parola e senza fare alcun movimento.

Marpisa incrociò il suo sguardo e lo guardò negli occhi. I suoi occhi erano verdi, trasparenti come l’acqua del mare, ma non manifestavano cattiveria. Anzi, Marpisa ci vide dentro tutta la disperazione della solitudine, dell’emarginazione, della vita condotta ai margini della società, scacciato e scansato da tutti. Lo sguardo dell’uomo era quasi magnetico, e Marpisa, continuando a fissare i suoi occhi dentro quelli dell’uomo, ci vide anche, in fondo, uno sguardo d’amore, uno sguardo che chiedeva amore, ma che voleva anche offrire amore. Marpisa non ebbe più dubbi: quell’uomo non era cattivo, aveva solo bisogno d’affetto e istintivamente lo abbracciò. Anche il “Leone”, sentì, le stava cingendo pian piano le spalle, fino a stringerla anche lui in un abbraccio. Un abbraccio che diveniva sempre più forte, sempre più tenero, sempre più caldo.

Nino De Maria

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