La tredicesima puntata delle nostre storielle estive ci fa conoscere un personaggio divenuto famoso per le sue innocenti manìe. Buona lettura!
Negli anni ’60 del secolo scorso, nella mia città c’erano numerosi personaggi caratteristici, conosciuti da tutti.
Io vorrei ricordarne uno in particolare. Era un uomo alto e robusto, un “pezzo d’uomo” come si suol dire, che aveva fama di essere fortissimo. Aveva un’età indefinibile, ma avrà avuto, a quell’epoca, una cinquantina d’anni. All’apparenza era una persona normale, ma siccome – dicono – durante la seconda guerra mondiale una bomba era scoppiata vicinissimo a lui, era rimasto un po’ intontito. Infatti aveva delle piccole manìe. La prima era che gli piaceva molto cantare, e lo faceva ogni qualvolta gli veniva voglia di farlo, dovunque si trovasse, ma i suoi luoghi preferiti erano due: la gradinata della chiesa di san Sebastiano e uno slargo che c’è davanti alla chiesa di sant’Antonio di Padova, dove c’è un gradino abbastanza alto, sul quale egli si sedeva; le sue esibizioni duravano talvolta per delle ore, ma faceva piacere sentirlo perché aveva una voce bellissima e ben intonata, e le cose che cantava erano canzoni del repertorio classico ed anche brani d’opera, sicché si formava a volte attorno a lui un piccolo gruppo di ascoltatori che alla fine lo applaudivano con convinzione e con giusto merito per lui. Un’altra piccola mania era questa: in certi momenti, di punto in bianco, cominciava a pulirsi le maniche della giacca, con le mani a mo’ di spazzola, come se fossero impolverate, e questo a volte andava avanti anche per mezz’ora, con lui che ripeteva meccanicamente lo stesso gesto all’infinito; poi cominciava a scrollarsi tutto come se si sentisse qualcosa addosso, ed anche questo gesto andava avanti per un bel po’ di tempo. Chissà, probabilmente questi gesti erano collegati con l’episodio dello scoppio della bomba, a seguito del quale forse gli era arrivata addosso qualche scheggia o qualche frammento che egli aveva cercato immediatamente di togliersi di dosso.
Ma la sua principale mania, quella per la quale era maggiormente noto e a seguito della quale gli era stato pure attribuito il soprannome, era di tenere calcati in testa numerosi cappelli, ben sette, infilati uno dentro l’altro: si trattava di cappelli di feltro tipo “borsalino”, con la calotta spinta verso l’esterno come se fossero delle bombette e impilati uno dentro l’altro a costituire un blocco unico. E per questo motivo era stato soprannominato “Settecappelli”. Ai sette cappelli univa un’altra stranezza: due o tre paia di scarpe infilate una dentro l’altra, che gli davano l’aspetto di un clown con dei piedi enormi. L’abbigliamento poi era costituito da un paio di pantaloni molto larghi e da una giacca di almeno tre taglie più grande del giusto, che gli arrivava fin quasi alle ginocchia. Questo era il suo abbigliamento sia d’estate che d’inverno, ma il tutto era sempre pulitissimo e ordinatissimo e non dava alcuna impressione di sciatteria. Inoltre, portava sempre attaccato al braccio un enorme ombrello, che gli serviva per ripararsi dalla pioggia.
Al di là di queste stranezze, era un uomo buonissimo e molto affabile, che, proprio per la sua forza straordinaria, veniva spesso chiamato per trasportare delle merci, e a questo scopo aveva un carrettino a due ruote che si era costruito lui stesso e che funzionava tra le sue mani meglio di una moto Ape. Con questi piccoli lavoretti riusciva a racimolare un po’ di denaro che gli serviva per sopravvivere senza pesare troppo sulle spalle di una sorella con cui abitava, la quale lo accudiva e, non potendo fare altrimenti, lo assecondava nelle sue manìe.
Lo si vedeva, quindi, sempre in giro per il centro cittadino e la zona del mercato, con qualunque clima e qualunque tempo, sempre accompagnato dal suo enorme ombrello, sempre affabile, sempre pronto a rispondere ai saluti di chi lo incontrava, anche se si trattava di persone che egli non conosceva. Qualche ragazzino, ogni tanto, provava a prenderlo in giro, ma bastava una sua occhiata severa, unita alla sua figura austera, per bloccare sul nascere qualunque tentativo del genere e far correre a gambe levate gli impavidi autori.
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Un bel giorno all’improvviso, sparì. Qualcuno si preoccupò, pensando che gli fosse successo qualcosa, che stesse male o, peggio ancora, che fosse morto. Ma la notizia, per fortuna, risultò infondata. Si sparse invece la voce che, dopo tanti anni, era stata accolta la domanda da lui fatta a suo tempo per una pensione di invalidità conseguente ad eventi bellici, e pertanto adesso, avendo una retribuzione fissa e non avendo più bisogno di lavorare, la sorella aveva preteso che cambiasse vita e facesse, appunto, il pensionato. Lo si rivide in giro qualche settimana dopo, ma adesso vestito in maniera normale, con vestiti della sua giusta misura, senza i sette cappelli in testa, sostituiti da un normale berretto con la visiera – la “coppola” – e con un solo paio di scarpe normali ai piedi.
Così elegante e profumato, con il viso sempre ben rasato e con la sigaretta tra le dita, ricominciò a girare per la città, sempre affabile e gentile, ma con qualche manìa in meno. Ad esempio, non cantava più per le strade e, anziché “Settecappelli”, venne chiamato, per contrasto, “Unicobasco”.
Nino De Maria