Una fantafiaba originale, con dei risvolti imprevisti.
Era un mago potentissimo, benvoluto e ricercato da tutte le parti. Gli bastava guardare le persone negli occhi per capire quali erano i loro problemi e di che cosa avessero bisogno. E come tutti i maghi che si rispettino, aveva naturalmente anche una bacchetta magica. Ma non era una bacchetta rigida come quelle che hanno tutti i maghi, era invece flessibile, di metallo, e la custodiva dentro di sé; per l’esattezza era lunga 27 centimetri e ce l’aveva incastrata tra il rene sinistro e l’uretere. Per attivarla doveva fare pipì, perché solo così, facendoci scorrere dentro la pipì – visto che era cava al suo interno – la bacchetta permetteva la realizzazione delle magie operate dal mago. E siccome, come dicevamo, era molto ricercato e compiva molte magie nel corso della giornata (ma anche della notte), era costretto a fare spesso pipì. Ed era per questo che tutti lo chiamavano il Mago Piscione.
Seduto dietro un grande tavolo pieno di scatole, scatolette, matite, penne, pennini, fogli di carta bianca e colorata e attorniato da strumenti strani e dalle forme astruse, ascoltava tutti con molta attenzione, li osservava ben bene dentro gli occhi e poi, individuata la magia che ogni singolo caso richiedeva, si ritirava brevemente nel suo bagno privato (che gli serviva anche da pensatoio e laboratorio) per attivare la bacchetta magica e fornire la soluzione giusta.
Egli lavorava soprattutto con i bambini, per i quali aveva un talento particolare. C’era infatti chi non trovava più la macchinina, chi non riusciva a vedere la mamma, chi non poteva fare i compiti, chi avrebbe voluto un giocattolo particolare; e c’era pure chi voleva un fratellino o una sorellina, chi avrebbe voluto diventare grande presto… Insomma, gliene capitavano di tutti i colori, ma per tutti lui sapeva come risolvere al meglio le cose. Aveva anche un’assistente, una ragazza bionda, simpatica e che sapeva pure giocare coi bambini. Lei infatti li rabboniva mostrando loro dei dischetti colorati, oppure facendoli giocare con matite, penne, pennarelli, squadre, squadrette, righe, righelli, o con oggetti trasparenti che sembravano invisibili; ma la cosa che più affascinava i bambini era il gioco delle macchinine volanti, che scappavano all’impazzata da tutte le parti e bisognava seguirle con gli occhi senza mai perderle di vista. Il Mago poi mostrava loro degli altri giocattoli disegnati da indovinare e metteva davanti a loro dei vetri colorati per vedere la realtà in maniera diversa e più accattivante. E poi, prima che andassero via, regalava sempre una caramella a ciascuno di essi.
Ma anche i grandi andavano spesso da lui alla ricerca della soluzione giusta per i loro problemi. Una volta andò a trovarlo un tizio che aveva un grosso problema: si sentiva sempre la testa pesante, e non riusciva a fare niente perché questo peso lo trascinava verso il basso fino a farlo camminare curvo e con la testa in avanti, tanto da essere costretto a procedere guardando sempre a terra senza nemmeno accorgersi delle persone che incontrava. Era anche un tipo alquanto scorbutico e facilmente irritabile, per cui bastava anche un piccolo gesto o una mezza parola appena accennata senza secondi fini, per mandarlo su tutte le furie. Il Mago lo guardò a lungo negli occhi, scrutandolo attentamente fin dentro le pupille, e ci vide situazioni di disagio che risalivano al periodo infantile, momenti di isolamento e di emarginazione, gesti e parole di scherno subiti, vecchi rancori mai sopiti, frustrazioni e complessi di inferiorità covati dentro e mai venuti alla luce, con pochissimi momenti belli e sogni mai realizzati. Tutte cose che lo avevano portato a chiudersi sempre più in se stesso e a riempirgli la testa di pensieri, angosce e ambasce che pesavano sempre più. Ed ecco perché la sua testa, sempre più piena, sempre più pesante, tendeva ad abbassarsi sempre più, come se volesse svuotarsi e liberarsi infilandosi sottoterra come fanno gli struzzi. Ma la cosa più grave era che tutta questa situazione lo portava anche ad avere poca fiducia in se stesso. Finita l’osservazione, il Mago si ritirò subito nel suo bagno-laboratorio per preparare l’oggetto magico risolutore. Egli applicò quindi al signore dalla testa pesante un casco con delle protuberanze ripiene di elio, un gas nobile meno pesante dell’aria, che gli fece subito sollevare la testa e gliela fece sentire più leggera. La bravura del Mago consistette nel saper dosare adeguatamente la quantità di gas nelle protuberanze del casco, affinché questa non fosse né troppo scarsa e non ottenesse alcun risultato, né troppo abbondante, il che avrebbe rischiato di far volare letteralmente in aria l’uomo che indossava il casco. Con la testa più leggera e nella posizione naturale, quest’uomo riacquistò subito il sorriso e la fiducia nella vita, poté tornare a guardare il mondo che lo circondava ed a vedere chi gli stava vicino, consentendogli quindi di riallacciare dei rapporti sociali più cordiali e amichevoli con le altre persone.
Un’altra volta portarono nello studio del Mago una signora non più giovane, ma nemmeno tanto grande di età. Stava quasi sempre chiusa in casa, perché aveva un marito gelosissimo che non le permetteva di mettere il naso fuori di casa se non insieme con lui o per svolgere mansioni che lui stesso le affidava, trattenendosi fuori casa per il tempo strettamente necessario. A poco a poco questa povera signora si era chiusa sempre più in se stessa, tralasciando qualunque interesse personale potesse avere o avere avuto da ragazza, e rompendo tutti i rapporti con le sue amiche. Ed era stato solo con la complicità di una vicina di casa che era riuscita ad andare dal Mago, approfittando del fatto che il marito era al lavoro e le aveva lasciato l’incarico di fare la spesa per il fine settimana. Aveva quindi il tempo limitato, per cui il Mago affrettò il suo intervento. Come al solito, egli la guardò attentamente negli occhi, e quel che vide sconvolse anche lui. Negli occhi di quella signora vide un’infanzia semplice ma serena, ma con l’adolescenza le cose si erano complicate, con la comparsa di alcuni fidanzatini che l’avevano illusa, per poi tradirla, abbandonarla e farla soffrire. C’erano poi tanti sogni infranti e tante illusioni, la scuola, l’università, un futuro da insegnante, viaggi, magari una carriera in un posto diverso da quello d’origine; e poi tante amicizie, tanta cordialità, tanta affettuosità, tanta sensibilità, tanta voglia di stare con gli altri, di aiutare gli altri facendo del bene. Finché era arrivato un matrimonio imposto che le aveva tolto ogni illusione e l’aveva costretta ad abbandonare tutto e tutti, a seppellire letteralmente se stessa ed il suo passato per dedicarsi interamente al marito-padrone, alla casa, alla famiglia, ai figli che erano arrivati. E quindi tanta rassegnazione, tanta sottomissione, tanta accettazione del suo stato a cui non aveva mai minimamente tentato di sottrarsi. Con le lacrime agli occhi, il Mago si ritirò nel suo bagno-laboratorio dove diede anzitutto libero sfogo a tutta la sua commozione, mentre anche la sua bacchetta magica aveva cominciato a sussultare. Poi tirò fuori un aggeggio, reale ma magico allo stesso tempo: un telefonino di ultima generazione fornito di whatsapp, un ritrovato che permetteva di mettersi in collegamento con tutto il mondo – persone, negozi, uffici, giornali, luoghi ubicati in qualunque parte del mondo e tanto altro ancora – e tutto questo in tempo reale, per cui si poteva parlare con chiunque – anche guardandosi in faccia, se si voleva –, e poi fare acquisti, informarsi, aggiornarsi e rendersi liberi – pur restando a casa propria – di fare ciò che si voleva. Il Mago consegnò questo magico strumento alla signora, le diede le istruzioni necessarie per poterlo usare e la congedò chiedendole di tenerlo informato. Dopo neanche tre giorni, ricevette una videochiamata da quella signora, che non sembrava più la stessa, perché aveva un aspetto molto più giovanile, era allegra e sorridente, e gli raccontò che – grazie all’oggetto magico ricevuto dal Mago – aveva riallacciato i contatti con le sue vecchie amiche, che aveva deciso di prendere la patente di guida e stava programmando di fare un viaggio. E – cosa ancora più stupefacente – aveva convinto il marito a seguirla nel viaggio e, parlando parlando, aveva iniziato a dirgli ed a fargli notare tutte le cose che non andavano bene nel loro rapporto, convincendolo anche a fidarsi maggiormente di lei, a non essere più geloso come prima, e a darle più spazio e più possibilità di mettere in atto tante di quelle cose che le sarebbe piaciuto fare e che non aveva avuto, fino a quel momento, la possibilità di fare.
Il nostro Mago aveva un vicino di casa che aveva fama di essere un buontempone, un giocherellone, ma anche un tipo un po’… birichino. Questo vicino di casa era abbastanza avanti negli anni, aveva fatto la guerra ed aveva un occhio di vetro, perché il suo l’aveva perso per colpa della scheggia di una granata che l’aveva preso in pieno. Un giorno costui – che si chiamava Lapo – entrò nello studio del Mago con fare canzonatorio, chiese di essere ricevuto e gli disse: «Avrei bisogno di una magia. Me la dai un’occhiata per vedere di che cosa potrei avere bisogno? Io ce l’ho una certa idea, ma vorrei che tu, visto che sei mago, lo capissi da solo.» Il Mago, che aveva un cuore grande come una casa ed era molto buono e generoso, accettò di esaminarlo, pur imprecando mentalmente perché sapeva benissimo che stava solo perdendo del tempo. Lo guardò nell’unico occhio buono che aveva, e vide quello che già sapeva, e cioè una vita fatta di stenti e di miseria (soprattutto durante la guerra), e poi una serie di mezzucci e di espedienti – non sempre limpidi ed onesti – per sopravvivere e sbarcare il lunario, tante bravate con gli amici (ed anche a volte coi parenti) compiute col solo scopo di prenderli in giro, imbrogliarli, ingannarli e trarne vantaggio; e poi tante azioni poco corrette che non lo rendevano certo uno stinco di santo. Finita l’osservazione, il Mago stava per congedarlo perché non aveva nulla da fare con Lapo, se non invitarlo a cambiare vita, ma questo non rientrava tra le sue facoltà. Ma Lapo, quasi indispettito, gli disse: «E l’altro occhio non me lo guardi?» «Ma certo!», rispose prontamente il Mago. «Togliti l’occhio di vetro», gli disse. Lapo ubbidì e glielo consegnò. Il Mago prese il globo di vetro, lo rigirò tra le mani, dopo di che ci sputò sopra e lo ripulì con un pezzo di carta di giornale, facendolo diventare lucido e brillante. Lo riconsegnò quindi a Lapo dicendo: «Ecco fatto!». «E la magia?», strillò Lapo più indispettito che mai. «E scommetto che non sei neanche riuscito a capire quello di cui ho bisogno!» continuò ridendo a crepapelle. «A me servirebbe semplicemente una barca piena di soldi. Per te e per la tua magia sarebbe un gioco procurarmela.» Il Mago, cercando di mantenere la calma, gli disse: «Io non sono la Zecca dello Stato e non produco soldi. Ma ti faccio un augurio: ti auguro che il tuo nome, moltiplicato per mille, ti segua e ti insegua fino in capo al mondo.» Naturalmente Lapo non capì in bel niente di ciò che gli aveva detto il Mago, ma per non darsi per vinto, se ne andò sghignazzando. In questo caso il Mago non fece nessuna magia per Lapo, ma gli diede soltanto una bella lezione di vita e di correttezza. Forse al momento Lapo non se ne rese conto, ma siamo sicuri che col tempo anche lui avrà capito. Per chi non lo sapesse, il nome Lapo deriva dal latino lapis, che significa “pietra”, “sasso”, e quindi il Mago gli disse in maniera velata che lo avrebbe preso volentieri a sassate.
Col passare del tempo, però, la bacchetta magica flessibile del Mago cominciò a dargli qualche fastidio, perché, usandola frequentemente, gli procurava qualche dolorino, e a volte, secondo la posizione che assumeva, non gli permetteva nemmeno di dormire tranquillamente la notte, perché pesava, premeva, spingeva verso gli organi interni. Tra l’altro, dal momento che aveva la punta magnetizzata, a volte il Mago non poteva avvicinarsi troppo agli oggetti metallici perché rischiava di essere attratto e magari di restare attaccato a qualcosa. Anche le posate che usava per mangiare, se non erano abbastanza pesanti e massicce, gli si andavano ad attaccare là dove c’era la bacchetta magica. Per esempio, aveva dovuto rinunciare al caffè, perché non poteva usare il cucchiaino per rigirarlo dopo aver messo lo zucchero, e qualche volta in cui si era distratto aveva visto volare il cucchiaino verso la sua zona inguinale producendogli anche degli ematomi a causa del botto improvviso. Quindi il caffè avrebbe potuto prenderlo solo amaro perché senza zucchero non c’era bisogno di rigirarlo, ma per non correre rischi, egli aveva preferito non prenderne più, e così pure tè, gelati e granite, con suo grande rammarico perché proprio il gelato e la granita gli piacevano tanto.
Ma poiché più passava il tempo, più il Mago faceva magie, e più la situazione andava aggravandosi, sicché ad un certo punto decise di farsi togliere la bacchetta. Per estrarla occorreva un intervento abbastanza complicato, che solo uno specialista preparato poteva eseguire. Trovato finalmente l’esperto competente in materia di bacchette magiche rigide e flessibili, interne ed esterne, si sottopose all’intervento. Lo specialista, con l’aiuto di una grossa calamita, agganciò la punta magnetica della bacchetta magica e piano piano, con molta cautela, la estrasse fuori.
Siccome era una bacchetta magica molto potente, al momento del “contatto” si verificarono dei fenomeni di perturbamento magnetico atmosferico e terrestre, che si localizzarono soprattutto in prossimità della Penisola Scandinava – nelle vicinanze del polo nord da cui la bacchetta magnetica era per sua stessa natura attratta –, laddove le navi pescherecce norvegesi pescano il prezioso merluzzo (da cui si ricavano pregiati baccalà e stoccafissi) e laddove gli aeroplani si contendono gli spazi aerei con i grossi uccelli rapaci in fase migratoria. Infatti uno stormo di aquile reali “testarossa” (una variante della più nota aquila reale “testabianca”) che si trovava di passaggio nella zona, si buttò a capofitto verso un branco di merluzzi che stava transitando nei pressi di Capo Nord diretti verso la penisola di Kola, ma la forte perturbazione magnetica li aveva seduta stante trasformati tutti direttamente in baccalà e stoccafissi, che non erano poi tanto male per i gusti dei grossi rapaci; solo che dovettero contenderseli con uno stormo di cormorani che si trovavano anch’essi in quella zona. Inoltre alcuni aerei in transito che stavano seguendo la “rotta polare” diretti verso il Nord America, cominciarono a sbandare e rischiarono di perdere la rotta. Per fortuna il fenomeno fu di breve durata e tutto tornò a posto. Alcuni scienziati poterono anche notare nei cieli del Nord una strana e diffusa luminescenza colorata, molto simile ad un’aurora boreale.
La bacchetta magica del Mago, estratta dal suo corpo, sembrava adesso un innocuo serpentello metallico. Ma per mantenerne la funzionalità, il Mago la inserì in una bottiglia di tè al limone: il tè per ingannarla col colore molto simile a quello della pipì ed il limone per assicurarle la giusta acidità. A questo punto non aveva più bisogno di fare frequentemente pipì, perché gli bastava agitare la bacchetta dentro la bottiglia per ottenere lo stesso effetto magico. Al momento dell’estrazione, il Mago aveva perso qualche goccia di sangue che, con suo grande disappunto, si presentò di colore rosso, come in tutti i mortali. Ma il Mago aspirava ad avere il sangue blu come i nobili, perché lui, anche se non aveva nessun titolo nobiliare di sorta, era sicuramente nobile d’animo, e si aspettava che prima o poi anche il suo sangue gli desse questo riconoscimento. Era una cosa che non era ancora riuscito ad ottenere e nessuna magia lo aveva aiutato in tal senso.
Lo specialista che gli aveva estratto la bacchetta magica, dopo l’operazione gli aveva prescritto vari farmaci per prevenire infezioni e problemi di qualsiasi sorta. Si trattava di pillole, sciroppi, infusi e decotti che doveva prendere ad orari regolari più volte al giorno. Dopo due giorni di questa cura, andando in bagno, quale non fu la sua sorpresa nel vedere che la sua pipì era di colore blu! La cosa lo rallegrò molto, perché, visto che il suo sangue era rimasto rosso, almeno era diventata blu la sua pipì, ed anche questo, indirettamente, grazie proprio alla sua bacchetta magica.
Nino De Maria