Un racconto fantastico ambientato in una scuola immaginaria.
(Continuazione) Passarono così alcuni mesi e arrivò il tempo della verifica di metà anno. Ademario e Marlùna si presentarono al capo Sarcoccio per far vedere come stavano lavorando. Essi portarono con sé anche alcuni cuccioli delle loro classi, i quali diedero un’ampia e convincente dimostrazione di quanto avevano appreso: non solo sapevano comportarsi come persone per bene, educate e rispettose, ma ubbidivano prontamente a tutte le loro richieste, con precisione e tempestività; inoltre essi diedero un saggio delle cose apprese, e a questo scopo avevano preparato una piccola recita di carattere natalizio (si era infatti sotto le feste di fine anno), dove recitarono, ballarono, cantarono, lessero poesie e filastrocche con la bravura di veri professionisti. Inoltre seppero rispondere con esattezza e convinzione alle domande che faceva loro Sarcoccio per metterli alla prova. L’assolvimento dei compiti ordinari, dunque, procedeva bene, mentre per i compiti straordinari Ademario e Marlùna fecero vedere a Sarcoccio come si stavano organizzando per il conteggio dei p.o.f., preparando lenti d’ingrandimento, pinze, pinzette, pettini, spazzole, spazzoloni, lampade fluorescenti, lampade a raggi infrarossi e ultravioletti, macchine fotografiche e quant’altro la moderna tecnologia metteva a disposizione; ed inoltre numerose griglie e punteruoli colorati per la registrazione.
Essi non avevano però ancora conosciuto e affrontato il mostro Invalsi, che in genere si presentava nel mese di febbraio, ed il suo arrivo avveniva in genere nel momento meno opportuno. Anche stavolta si manifestò all’improvviso, durante i festeggiamenti di Carnevale, a cui tutta la scuola “P.V.” partecipava in maniera straordinaria, preparando meravigliosi costumi, eccezionali scenografie, favolosi balletti e splendide sfilate in maschera.
Sul più bello dei festeggiamenti, Invalsi fece la sua comparsa nei locali della scuola. Il suo aspetto sembrava piuttosto mansueto, ma guai a fidarsi di lui. Aveva infatti una larga faccia bianca e piatta di forma rettangolare, da cui uscivano vari filamenti collegati con le altre parti del suo corpo: uno specie di scatolone che sbuffava e soffiava continuamente perché conteneva il suo cuore, due bocche piccole e quadrate ricoperte da una griglia da cui fuoriusciva la sua potente voce, una coda lunga e sottile che finiva con una specie di ciuffo rigido a forma di topo e che al mostro piaceva tantissimo farsi accarezzare, e, soprattutto, una specie di pancia ricoperta di vari quadretti tatuati con cui egli voleva che gli si trasmettessero i messaggi e le risposte ai suoi quesiti. Quando meno te l’aspettavi, cominciava a sparare richieste e quesiti tipo quelli della Sfinge, e guai se non rispondevi entro i tempi fissati! Il mostro Invalsi si impicciava di tutto e ogni anno voleva sapere tutto sulla scuola: quanti cuccioli c’erano, di che età erano, quanti fratelli e sorelle avevano, quanta strada facevano per arrivare a scuola, di che forma avevano la testa, quanto era lungo il loro naso, e così via; e poi le stesse cose le voleva sapere anche dei Ticiartìm, con l’aggiunta di altre richieste del tipo di quante lingue conoscevano, quante ore al giorno passavano a studiare per preparare le loro lezioni o di quante volte andavano in bagno mentre erano a scuola. E poi voleva sapere anche quante stanze, stanzini, aule, sgabuzzini, porte, finestre, scale e sottoscala c’erano nell’edificio della scuola, e se rispetto all’anno prima era cambiato qualcosa, se c’era qualche scrostatura in più nei corridoi, e se i rubinetti dell’acqua calda funzionavano regolarmente, oppure se i cuccioli trovavano di loro gradimento i gabinetti della scuola. E mentre aspettava le risposte a tutte queste sue richieste, si adagiava comodamente sul tavolo più grande della stanza dei Testoni, che erano dei cosi simili a lui, ma con la testa più grossa e molto più buoni di lui. Infatti i cuccioli andavano spesso in questa stanza per giocare con loro. Qualcun altro di questi Testoni si trovava in giro per la scuola, ma erano tutti buoni e socievoli, ed erano collegati tra di loro con un sistema di filamenti molto complesso che permetteva loro di comunicare anche senza vedersi ed anche se si trovavano in posti diversi. Il mostro Invalsi si attaccava ogni volta alla rete di comunicazione dei Testoni e non li faceva più comunicare liberamente, anzi minacciava di bloccare tutto se non veniva soddisfatto e minacciava pure – la cosa più grave – di non fare più arrivare, da parte dei finanziatori della scuola, i soldini necessari per il suo funzionamento. E già, perché in fondo in fondo era proprio questo il suo scopo: controllare tutto per sapere quanti soldini erano stati spesi e se erano stati spesi bene, quanti ne occorrevano per andare avanti, quanti se ne mangiavano i cuccioli per il loro mantenimento quotidiano, quanti ne occorrevano per far funzionare tutta la baracca. Ed era sempre lì pronto a fare obiezioni, a richiamare, a tagliare e… a minacciare di non fare arrivare più niente! Ecco perché bisognava prenderlo con le buone, accontentarlo anche se faceva richieste assurde, blandirlo perfino. Ed anche facendo tutto questo, non si era mai del tutto sicuri che egli fosse pienamente soddisfatto, perché era sempre lì pronto con qualche nuova richiesta. E questo stillicidio durava fino a giugno, e a volte anche oltre. Una sola cosa non aveva finora richiesto: il numero dei p.o.f. dei cuccioli e dei Ticiartìm. Ecco perché il capo Sarcoccio aveva chiesto ad Ademario e Marlùna di contarli, perché temeva che prima o poi il mostro Invalsi volesse sapere anche questo.
Ademario e Marlùna presero di petto la situazione e si posero davanti al mostro Invalsi per vedere quali erano le sue richieste, che egli sparava dalla sua faccia piatta come dei lampi di luce bianca e colorata a getto continuo, accompagnandoli con dei rumorini strani e inquietanti che provenivano alternativamente dalla sue due bocche grigliate. Senza por tempo in mezzo, i due giovani cominciarono a correre come pazzi per tutta la scuola alla ricerca delle informazioni richieste dal mostro, che aveva anche posto dei termini di scadenza molto ristretti. Con la collaborazione di tutti i cuccioli, dei Ticiartìm, di tutto il personale della scuola, ed anche dello stesso capo Sarcoccio, entro i primi di marzo essi riuscirono ad infilare nel corpo del mostro, attraverso i quadretti tatuati della sua pancia, e solleticandogli ogni tanto la punta della coda per tenerlo buono, tutte le informazioni richieste. A quel punto il mostro sputò fuori con un urlo un mucchio di carte piene di numeri, lanciò un ultimo lampo di luce per annunciare che si sarebbe fatto rivedere prima della fine dell’anno scolastico, dopo di che sembrò cadere in letargo e sparì. Era fatta! Ademario e Marlùna si abbracciarono e si misero a ballare per la gioia, dopo di che corsero a dare la bella notizia anche al capo Sarcoccio portandogli tutti i pezzi di carta sputati da Invalsi, che rappresentavano la prova del suo pieno soddisfacimento. Sarcoccio li lasciò mezz’ora ad aspettare dietro la porta della sua stanza, dopo di che prese e conservò in un cassetto le carte del mostro e disse freddamente ai due di non illudersi troppo, perché Invalsi sarebbe sicuramente tornato con altre richieste ancora più fastidiose.
Ademario e Marlùna furono costretti a frenare i loro entusiasmi, ma adesso era arrivato il momento di dedicarsi alla conta dei p.o.f., e quindi bisognava stringere i denti e andare avanti senza perdere tempo.
Senza tralasciare o trascurare il loro lavoro quotidiano di istruzione ed educazione dei loro cuccioli (d’altronde abbassare la guardia anche per un solo momento poteva essere fatale), cominciarono a girare per le classi con tutta la loro attrezzatura per esaminare ad uno ad uno tutti i cuccioli ed individuare quanti p.o.f. avevano addosso, controllando in particolare la zona della testa. E qui successe di tutto, perché i cuccioli scappavano da tutte le parti, e per convincerli a farsi cercare e contare i p.o.f. Ademario e Marlùna dovettero fare sforzi enormi e ricorrere a tutti i metodi possibili e immaginabili. C’era chi saliva sui banchi, sulla cattedra, sugli armadi, chi cercava di buttarsi dalle finestre, chi scappava nel corridoio, e poi c’erano quelli che si univano in gruppo e costituivano dei muri impenetrabili. Il lavoro fu lungo e difficoltoso, ma alla fine, dopo molti sforzi e tanta fatica, ma anche con tanta gentilezza e con l’aiuto dei Ticiartìm, essi riuscirono a contare tutti i p.o.f. che si nascondevano nella testa o addosso a tutti i cuccioli della scuola, badando anche a qualche p.o.f. che ogni tanto saltava da un cucciolo all’altro con il rischio di contarlo due volte o di non contarlo affatto.
Per contare poi i p.o.f. dei genitori dei cuccioli, li convocarono un pomeriggio a scuola e spiegarono loro la situazione. Non tutti accettarono di farseli contare ed alcuni se ne andarono, ma per quelli che restarono, l’operazione fu molto più semplice che per i cuccioli. Tuttavia ci volle tutta la serata per completare l’operazione.
Adesso non restavano che i Ticiartìm, e qui le cose si complicarono. Infatti, anche se il loro numero era più basso rispetto a quello dei cuccioli e dei loro genitori, l’operazione fu più lunga e più complessa. Prima di tutto, bisognava trovare il momento giusto in cui ogni Ticiartìm era disponibile, poi bisognava prenderlo con le buone perché non voleva farsi frugare addosso, poi qualcuno – chi sa perché – cercava di nascondere il numero effettivo di p.o.f. che aveva addosso; quasi tutti poi, per completare il quadro, permisero che la conta venisse fatta solo da un altro individuo del medesimo sesso, e quindi, dal momento che la maggior parte di essi erano di sesso femminile, il maggior carico di lavoro ricadde su Marlùna.
Finalmente, comunque, tutti i conteggi furono completati! Adesso bisognava solo inserire tutti i dati raccolti nelle griglie che Ademario e Marlùna avevano predisposto, cosa che fecero nel più breve tempo possibile servendosi dei punteruoli colorati, con cui abbellirono pure le griglie di vari disegnini variopinti. Essi riuscirono così a calcolare quanti p.o.f. giravano per scuola. Il loro numero complessivo ammontava a 5053, di cui 4125 appartenenti ai cuccioli e 928 ai Ticiartìm. Il numero complessivo di p.o.f. dei genitori che riuscirono a contare, considerato che non tutti si erano fatti esaminare, ammontava invece a 1927. Essi poterono pure definire la quota media di p.o.f. di ciascun gruppo, che risultò di 5 per i cuccioli, di 6 per i genitori e di ben 12 per i Ticiartìm. Quest’ultimo dato, piuttosto strano, meravigliò anche Ademario e Marlùna, che se lo spiegarono in due modi: primo, perché i Ticiartìm erano più sedentari rispetto ai cuccioli e quindi i p.o.f. trovavano in loro un ambiente più confortevole e tranquillo; secondo, forse qualche p.o.f. in più che si ritrovavano era scappato dai cuccioli con cui trascorrevano buona parte della giornata. Ademario e Marlùna conobbero anche, naturalmente, il numero di p.o.f. personali di ognuno, ma questi dati, chiaramente, sono riservati e non si possono dire per via della legge sulla privacy. Il numero dei p.o.f. però non era stabile e poteva cambiare di anno in anno. D’altronde i due giovani avevano fatto un lavoro molto attento e minuzioso, per cui erano pienamente convinti che nessun p.o.f. fosse sfuggito ai loro conteggi.
Per completezza, bisogna però dire che Ademario e Marlùna erano riusciti a contare tutti i p.o.f. della scuola, tranne quelli del capo Sarcoccio. Certo, perché Sarcoccio era un capo tribù, ed i capi tribù i loro p.o.f. se li possono contare soltanto tra di loro. Infatti, periodicamente, tutti i capi tribù della zona si riunivano proprio presso la scuola “P.V.”, dove Sarcoccio accoglieva festosamente e fastosamente i suoi colleghi, che avevano tutti dei nomi altisonanti, alcuni dei quali di origine latina o greca, ed erano tutti coltissimi: Pulvèrulus, Giumàx, Rospòtta, Sàcculus, Iansènis, Fofòscia, Blancus, Papàrdus, Pendòra, Maròzius, Alfèus, Parvèlios, ed altri ancora. Nel corso di questi incontri, al riparo da occhi indiscreti, essi si contavano reciprocamente i loro p.o.f. e ne facevano oggetto di raffronti, confronti, riscontri e progettazioni.
Orbene, mentre si avvicinava la fine dell’anno scolastico, fervevano i preparativi per tutte le recite, le attività e le manifestazioni finali. I Ticiartìm si preparavano anche per tirare le somme sui risultati conseguiti dai cuccioli, e qui qualcuno si stava preparando a mettere in atto tutte le sue capacità sadiche e persecutorie.
Qualche giorno prima della fine delle attività scolastiche, si ripresentò, come previsto, il mostro Invalsi, con altre assurde richieste sui cuccioli e sulle loro famiglie. Ademario e Marlùna, che avevano già pronti tutti i conteggi sui p.o.f., erano pronti a farglieli ingozzare, ma egli non li chiese, e pertanto essi si limitarono a fornirgli prontamente quanto da lui richiesto. Il mostro però, stavolta, trovandosi pienamente a suo agio nella stanza dei Testoni, non voleva andarsene e, accampando la scusa che gli altri suoi fratelli non avevano ancora ricevuto tutti i dati richiesti nelle altre scuole, continuava a procrastinare la sua partenza, continuando quindi ad abbagliare con i lampi di luce della sua faccia quadrata quanti entravano nella stanza dei Testoni e chiedendo continuamente se per caso c’erano aggiornamenti o variazioni ai dati che gli erano stati già forniti. Finalmente, verso la fine di giugno, non riuscendo più a trovare alcuna scusa ed avendo già ottenuto tutto quello che voleva, sputò un altro mucchio di carte piene di numeri e si decise finalmente ad andarsene, con grande sollievo di tutti e principalmente di Ademario e Marlùna.
Dopo tutte le recite, le rappresentazioni e gli spettacoli di fine anno, in cui gli alunni di Ademario e Marlùna si distinsero particolarmente, arrivò finalmente il grande giorno della prova finale, da sostenere non solo davanti al capo Sarcoccio, ma pure davanti a tutti i Ticiartìm. Ademario e Marlùna, emozionatissimi, si presentarono con fasci di carte e prospetti che riportavano tutte le griglie dei conteggi dei p.o.f. ed i resoconti della loro attività di tutto l’anno scolastico. Dopo l’introduzione di Sarcoccio, erano previsti gli interventi di alcuni Ticiartìm responsabili delle varie attività, ma Oliver, il collaboratore del capo, si offrì di fare un unico intervento riassuntivo per abbreviare i tempi e per lasciare più spazio ad Ademario e Marlùna. Ma la cosa non fu gradita da alcuni Ticiartìm, i quali cominciarono a gridare e ad inveire contro tutto e contro tutti. La situazione andò così avanti per un bel po’, finché un urlaccio di Sarcoccio riportò tutto alla normalità.
In questo clima di tensione Ademario e Marlùna iniziarono ad esporre il loro lavoro, spiegando come avevano lavorato con i loro cuccioli (d’altronde i risultati erano sotto gli occhi di tutti e tutti ne avevano apprezzato le varie performances nelle attività di fine anno), come avevano affrontato e sconfitto il malvagio mostro Invalsi, e come si erano prodigati per contare i p.o.f. dei cuccioli, dei loro genitori e degli stessi Ticiartìm. Man mano che essi parlavano e mostravano le loro griglie colorate e luminose – sciorinando inoltre tutto il materiale che avevano preparato –, il clima si faceva sempre più disteso e sereno, e tutti i presenti, a cominciare dal capo Sarcoccio, erano attentissimi alle loro parole. Alla fine uno scrosciante applauso coronò la loro relazione e decretò il loro schiacciante successo. Il capo Sarcoccio li elogiò quindi per l’ottimo lavoro compiuto e propose ai Ticiartìm di accoglierli a pieno titolo tra gli insegnanti della scuola. La proposta venne accolta all’unanimità, per acclamazione. Mentre i Ticiartìm ancora applaudivano, Ademario e Marlùna, visibilmente commossi, sentirono l’improvviso bisogno di grattarsi la testa e la schiena, il che poteva voler dire una sola cosa: anch’essi erano stati contagiati dai p.o.f.
Al che il capo Sarcoccio commentò: “Bene, adesso potete considerarvi dei veri Ticiartìm anche in questo!”
E per la prima volta Ademario e Marlùna lo videro abbozzare un sorrisetto.
A conclusione della riunione, tutti i Ticiartìm, in piedi e con la mano destra sul petto, declamarono ad alta voce il motto completo della scuola, che nemmeno Ademario e Marlùna ancora conoscevano perché questa cerimonia avveniva solo due volte l’anno, all’inizio (quando i due giovani non erano ancora entrati nella scuola) e alla fine:
“PARVI VASTANTES HERI, HODIE, SEMPER… ET UBICUMQUE”.
Nino De Maria