Incuriositi dalla sua ultima creatura letteraria, la trascrizione del Libro Rosso del XV-XVI secolo conservata nella parrocchia di San Martino in Randazzo, decidiamo di intervistare don Santino Spartà, sacerdote, giornalista, scrittore, di origine randazzese ma romano d’adozione da oltre quarant’anni. Così, fissato un incontro che ci accorda volentieri, ci riceve nella sua abitazione della città medievale, dove gli poniamo alcune domande:
– Quale l’idea della trascrizione del Libro Rosso?
“Essendo parrocchiano di San Martino, ho notato che l’archivio segreto conserva, oltre l’invidiabile patrimonio sacro, il Libro Rosso, che consta di ben 178 fogli. Mi riproposi di trascriverlo integralmente anche perché mai nessuno vi si era cimentato. Cominciai il lavoro, molto soddisfacente ed interessante, guidato sempre dalla sete di conoscenza e dal poter lasciare in mano agli studiosi qualcosa di scientifico, cosìcchè loro non incappassero in abbagli nei riguardi della storicità della chiesa o perché si è digiuni di paleografia diplomatica o perché non si è consultata la fonte (Libro Rosso), ma non nascondo la fatica”.
– Ci parli del Libro Rosso.
“Si tratta di un manoscritto, laddove affiorano le scritture di mani ed epoche diverse, per partire dagli sgoccioli del ‘400 ed approdare agli inizi del ‘700”.
– Chi sono gli autori del manoscritto?
“La maggior parte non è firmata, ad eccezione della cronaca che annota il passaggio di Carlo V a Randazzo, che porta il nome di Franchisco Purchello”.
– Qual è il suo contenuto?
“Vi sono testamenti, atti di donazione, compravendita di beni, inventari della ricchezza riguardante la parrocchia, ma anche documenti di pontefici e di autorità laiche ed ecclesiastiche. Alcune delle suddette testimonianze risalgono al Quattrocento, ma la maggior parte di essi cattura l’età moderna”.
– In questa trascrizione, che vantaggi, pensa, possa trarne Randazzo?
“Approfondimento della storia della parrocchia di San Martino e delle vicissitudini relative alle tre parrocchie storiche (San Martino, San Nicolò, Santa Maria). La conoscenza di bolle pontificie non esclusi Pio II e Paolo III e anche documenti dei vicerè Aragonesi, che si occupano di Randazzo. Atti ufficiali di vescovi e pure un elenco di presbiteri che officiava nella chiesa di quel tempo”.
– Può riferirci delle vicende delle tre chiese?
“La questione ha radici remote. Urbano II, andando in visita dal gran conte Ruggero D’Altavilla, a Troina, si pensa che sia passato da Randazzo solo per logica del tragitto viario, e quivi celebrò messa (1088) nella chiesa di rito latino di Santa Maria e conferì al parroco di allora il titolo di Abbas nullius. Quindi, la suddetta chiesa, forte di ciò e dei lasciti della baronessa De Quatris, accampava il diritto di preminenza sulle altre parrocchie. Il tutto si prolungò fino al 1936, anno in cui monsignor Salvatore Russo, vescovo di Acireale, decise di attribuirle il titolo di “matrice”.
Maria Pia Risa