Rapporto 2017 / Amnesty International: aumentano odio e paura nel mondo e sul web. Ma anche chi alza la voce a difesa dei diritti umani

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Nel corso del 2017 il discorso d’odio ha avvelenato l’opinione pubblica e la convivenza civile in moltissimi Paesi del mondo. Ad affermarlo è Amnesty International che ha diffuso oggi (22 febbraio) il suo Rapporto 2017-2018 nel quale fornisce un’analisi sulla situazione dei diritti umani in 159 Paesi dei cinque Continenti. Un vero e proprio atlante di discriminazioni, violazioni, repressioni delle libertà non solo verso categorie di persone a vario titolo vulnerabili ma anche verso le organizzazioni che si schierano a loro difesa.
“Durante tutto il 2017, milioni di persone – scrive nell’introduzione Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International – hanno sperimentato i frutti amari delle sempre più diffuse politiche di demonizzazione”. Un clima ostile al quale hanno contribuito prese di posizione e assunzioni di provvedimenti di politici e capi di Stato o di governo. Non solo: l’organizzazione denuncia come i politici alimentino anche delle fake news per manipolare l’opinione pubblica e, molto spesso, sferrano attacchi molto forti contro gli organismi di controllo. “Lo scorso anno – spiega Shetty – il nostro mondo è stato immerso nella crisi e importanti leader ci hanno proposto una visione da incubo di una società accecata da odio e paura. Ciò ha rafforzato coloro che promuovono l’intolleranza ma ha ispirato ancora più persone a chiedere un futuro di maggiore speranza”.
A dare il la alla “retorica, intrisa d’odio, che minaccia di normalizzare massicce discriminazioni ai danni di gruppi marginalizzati” è stato nel gennaio 2017 il “muslim ban” con il quale l’amministrazione Trump ha vietato l’ingresso negli Stati Uniti a persone provenienti da alcuni Stati a maggioranza musulmana. Un “precedente pericoloso” anche per altri governi, perché il provvedimento – secondo Amnesty International – ha contribuito a sdoganare atteggiamenti e pratiche fino a qualche tempo fa ritenuti impensabili. C’è poi una diffusa e sistematica denigrazione verso tutti i migranti e rifugiati, con atteggiamenti xenofobi che attraversano il globo.
Questo avviene nel 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani che, all’articolo 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.
Shetty richiama poi “l’orribile campagna militare di pulizia etnica contro la popolazione Rohingya in Myanmar” e altri crimini contro l’umanità e di guerra commessi in Iraq, Sud Sudan, Siria, Yemen.
“Sul fronte della lotta all’impunità – commenta Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia – molti governi stanno facendo arretrare le lancette dell’orologio. Mentre perdono interesse per la punizione dei crimini internazionali, non rinunciano alla fornitura di armi usate per colpire indiscriminatamente i civili. E questo è il caso anche delle forniture italiane all’Arabia Saudita di armi, impiegate poi nel conflitto yemenita”. “In sostanza – osserva – si rinuncia sia alla punizione sia alla prevenzione dei crimini internazionali”.
Tra i segnali di regressione sul fronte dei diritti citati nel Rapporto di Amnesty International ci sono il giro di vite in Francia e Polonia nel diritto a manifestare, le migliaia di persone – prevalentemente appartenenti alle comunità povere – sommariamente uccise da parte della polizia filippina nell’ambito di una violenta campagna antidroga e la limitazione al diritto di informare.
Secondo l’organizzazione, le più grandi carceri per giornalisti sono state Turchia, Egitto e Cina, Paese nel quale il premio Nobel per la pace, Liu Xiaobo, è morto, malato e senza cure, dopo aver trascorso anni in galera per aver espresso pacificamente critiche al governo. Due numeri misurano l’attacco verso chi raccoglie e diffonde informazioni sulle violazioni dei diritti umani:
nel 2017 almeno 312 sono stati gli attivisti uccisi, soprattutto in America Latina, e almeno 262 giornalisti sono finiti in carcere per motivi legati allo svolgimento del proprio lavoro (in Messico, addirittura, 11 di loro sono stati assassinati).
Altre violazioni menzionate nel Rapporto riguardano i diritti sociali di base, con milioni di persone nel mondo che faticano sempre più ad accedere a servizi essenziali come alloggio, cibo, acqua potabile, cure mediche e luoghi di protezione. “Se si negano questi diritti – osserva Shetty – si alimenta una disperazione senza fine. Dal Venezuela all’Iran, stiamo assistendo ad un’impressionante diffusione del malcontento sociale”.
Tornando a migranti e rifugiati, Amnesty International denuncia come non solo siano il bersaglio di odio e crimini di odio ma anche di scelte politiche e prassi per tenerli il più lontano possibile, negando loro a priori qualunque forma di protezione internazionale.
Succede così in Australia, con il confinamento dei richiedenti asilo in centri collocati in Papua Nuova Guinea e a Nauru; o in Libia, dove i migranti sono sottoposti a detenzione arbitraria, tortura, estorsioni, traffico di essere umani, rapimenti e riduzione in schiavitù; o, ancora, in Francia e in Norvegia con la scelta di “deportare” i migranti verso i Paesi d’origine come l’Afghanistan.
Dunque, il tema dell’odio è dominante in molti Paesi. E investe anche l’Italia soprattutto – nota l’organizzazione – in questa fase di campagna elettorale. Il nostro Paese – secondo Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia – “sembra concentrare in sé, in questo momento, tutte le dinamiche negative che si stanno producendo nell’opinione pubblica”. “Ancora nel 2014 eravamo orgogliosi di salvare le vite dei rifugiati in alto mare e consideravamo l’ospitalità e l’accoglienza ai rifugiati come un valore importante in cui la maggior parte della popolazione si riconosceva.
Oggi è un’Italia intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia, rifiuto dell’altro, paura ingiustificata verso tutto ciò che è diverso da noi: non solo migranti, ma anche rom, donne, poveri”.
Per Amnesty International, però, non è la prima volta che il mondo e l’Italia si ritrova davanti a momenti così difficili. E, come in passato, per ribaltare la situazione serve “reagire come società civile, come cittadini”. Una cittadinanza attiva e consapevole può fare la differenza. Il “piccolo barlume di speranza”, secondo l’organizzazione, sta nel fatto che l’attuale situazione sembra aver spinto più persone ad alzare la voce, impegnate in campagne per la libertà e la giustizia, che fanno sperare che sia possibile porre un freno alla deriva e invertire il senso di marcia verso la riconquista dei diritti.

Alberto Baviera

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