I dati sono resi noti dall’associazione internazionale Porte aperte nel suo rapporto annuale, il World Watch List 2018 (riferito al periodo tra il 1° novembre 2016 e il 31 ottobre 2017). A guidare la lista dei 50 Paesi dove i cristiani sono più perseguitati, sono la Corea del Nord e l’Afghanistan. Nelle “top ten” ci sono però anche Somalia, Sudan, Pakistan, Eritrea, Libia, Iraq, Yemen e Iran. È in Pakistan che la persecuzione ha i connotati più violenti in assoluto. I Paesi europei nella lista sono la Turchia, al 31° posto, e l’Azerbaigian, al 45°. Colombia e Messico gli unici del continente americano. Una escalation di intolleranza è stata registrata in Libia e in India, dove a motivo della crescente influenza del radicalismo induista sono stati compiute aggressioni su oltre 24mila cristiani indiani. Nel corso degli scorsi mesi sono peggiorate anche il Nepal (che è entrato quest’anno nella classifica ed è al 25° posto) e l’Azerbaigian.
“Cresce ancora la persecuzione anti-cristiana nel mondo in termini assoluti: oggi sono oltre 215 milioni i cristiani perseguitati”. È il primo dato del World Watch List 2018, il rapporto annuale dell’associazione internazionale Porte aperte, che lavora in 25 Paesi a sostegno dei cristiani di ogni denominazione vittime di soprusi e vessazioni a motivo della fede. Si tratta della lista dei 50 Paesi dove i cristiani sono più perseguitati, vale a dire dove subiscono maltrattamenti come “singoli o gruppi di persone a motivo della fede in Gesù”, che possono andare dalla discriminazione culturale e sociale, disconoscimento familiare, privazione di lavoro e di reddito, fino ad abusi fisici, torture, rapimenti, mutilazioni, distruzione di proprietà, imprigionamenti, assassini. I Paesi sono divisi in tre gruppi, in base al “grado di persecuzione” registrato: alto (con un punteggio tra 41 e 60), molto alto (61-80), estremo (81-100). Il punteggio e quindi la posizione nella classifica sono determinate dalla somma dei punteggi in sei ambiti: privato, famiglia, comunità, chiesa, vita pubblica e violenza.
In testa a questa triste lista sono Corea del Nord e Afghanistan. Nelle “top ten” ci sono però anche Somalia, Sudan, Pakistan, Eritrea, Libia Iraq Yemen e Iran. È in Pakistan che la persecuzione ha i connotati più violenti di tutti i 50 Paesi. I Paesi europei nella lista sono la Turchia, al 31° posto, e l’Azerbaijan, al 45°. Colombia e Messico gli unici del continente americano. Una escalation di intolleranza è stata registrata in Libia e in India, dove a motivo della crescente influenza del radicalismo induista sono stati compiute aggressioni su oltre 24mila cristiani indiani. Nel corso degli scorsi mesi sono peggiorate anche il Nepal (che è entrata quest’anno nella classifica ed è al 25°) e l’Azerbaigian. Secondo il Rapporto, nel periodo tra il 1.11.2016 e il 31.10.2017, 3.066 cristiani sono stati uccisi a causa della loro fede, 15.540 edifici di cristiani sono stati attaccati (chiese, case private e negozi).
La persecuzione anti-cristiana “va ben oltre” questi numeri: la si legge anche nei 1.922 cristiani detenuti senza un processo, nei 1.252 cristiani rapiti, negli oltre 1.000 stupri, così come nei 1.240 matrimoni forzati e nei 33.255 cristiani “fisicamente o mentalmente abusati”. Sono tutte “vite devastate a causa di una scelta di fede”, sottolinea Cristian Nani, il direttore di Porte Aperte che precisa: si tratta di “cifre che purtroppo sono da considerare punti di partenza poiché potenzialmente enorme è la realtà sommersa dei crimini non denunciati o non registrati contro i cristiani in molti Paesi”. Secondo Porte aperte i cristiani perseguitati in Africa sono 81,14 milioni (38%), in Asia e Medio Oriente 113,31 milioni (53%), in America Latina 20,05 milioni (9%), nel resto del mondo 11.800 (0,01%). “L’oppressione islamica continua a essere la fonte principale di persecuzione dei cristiani, non confermandosi solamente ma estendendo la sua morsa in varie aree”, si legge nel World Watch List 2018. Ma aumenta anche il fattore “nazionalismo religioso come prorompente fonte di persecuzione anti-cristiana (e di altre minoranze)”, come ad esempio in India. “L’intolleranza sociale e lo sfruttamento politico di tale intolleranza sono il veleno di questo periodo storico”, ha sintetizzato Nani. “Il crescente movimento islamista diventa sempre più una minaccia per i cristiani e le altre comunità non musulmane in molte parti del mondo”, spiega il Rapporto che identifica cinque trend preoccupanti in quest’ambito: “la radicalizzazione delle aree dominate dall’islam”, in Africa e nel mondo musulmano non arabo asiatico; “il divario sunniti-sciiti” che si scontrano soprattutto in Medio Oriente e Asia; l’espansionismo islamico in aree a prevalenza non musulmana (specie in Africa sub-sahariana, e Indonesia, Malesia, Brunei); la simultanea radicalizzazione ed espansionismo islamico, con il caso principale della Nigeria e una pulizia etnica in base ad affiliazione religiosa, in evidente crescita in alcuni stati africani quali nordest del Kenya, della Nigeria, della Somalia e del Sudan.
A colpire i cristiani in Asia è invece il “nazionalismo religioso” paragonato a “uno tsunami” che “scuote il continente lasciandosi alle spalle distruzione e a volte morte”. L’India è di fatto il caso più preoccupante, seguito dal Nepal. La tendenza si registra anche nel mondo buddista, dove si manifesta una “persecuzione differente nelle espressioni ma crescente e più subdola”: è il caso di Sri Lanka, Bhutan e Myanmar. Pesante è anche “l’impatto dei nazionalismi ideologici”, in Cina, Vietnam e Laos dove “l’ideologia comunista sembra riprendere vita”. Il rapporto riconosce poi la “paranoia dittatoriale” come fonte principale di persecuzione in Paesi come la Corea del Nord e l’Eritrea; i cristiani in Messico e Colombia sono invece vittime di “corruzione e crimine organizzato uniti ad antagonismo etnico”. “Buone notizie” nel Rapporto sono il leggero miglioramento della situazione in Kenya ed Etiopia, e il “calo notevole della violenza mirata contro i cristiani” in Siria, in primo luogo per l’arretramento dell’Isis.
Sarah Numico