“La condizione giovanile in Italia” e il titolo del volume presentato a Milano e che raccoglie i risultati della ricerca promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con Fondazione Cariplo e Università Cattolica. L’indagine, che coinvolge 9mila giovani tra i 18 e i 29 anni (i cosiddetti “millennials”, divenuti maggiorenni nel XXI secolo) intende seguire i loro percorsi di vita per 5 anni.
Un tema rispetto al quale, tuttavia, l’Italia sembra chiamarsi fuori, come emerge, ad esempio, dai dati negativi sulla natalità e da quelli – viceversa troppo alti – sui Neet, i giovani che non studiano, né cercano lavoro. L’indagine, che coinvolge 9 mila giovani tra i 18 e i 29 anni (i cosiddetti “millennials”, divenuti maggiorenni nel XXI secolo) e intende seguire i loro percorsi di vita per 5 anni, al termine del primo anno di lavoro presenta l’identikit di una persona che abita con i genitori e non ha un lavoro stabile, s’informa soprattutto on line, usa il web tutti i giorni ed è convinto che “le nuove tecnologie migliorino informazione e consapevolezza”, è più istruito del resto della popolazione, vorrebbe una famiglia con almeno due figli, considera il lavoro un mezzo per realizzarsi ma vede con incertezza il proprio futuro, è insoddisfatto della propria situazione economica, ha poca fiducia nelle istituzioni politiche.
Il lavoro che non c’è. È vero che i giovani escono tardi dalla casa dei genitori, ma tre su quattro (65,3% dei maschi, 61,8% tra le femmine) sono poi costretti a rientravi “quando il posto di lavoro viene meno o se esso non consente loro di mantenersi”. Eppure il lavoro è considerato “uno strumento diretto a procurare reddito” (90%) ma pure “un luogo d’impegno personale” (90%), “un modo per affrontare il futuro” (89%) e “uno strumento per costruirsi una vita familiare” (86%). Una fotografia che “sfata il luogo comune dei giovani bamboccioni e schizzinosi”, ha evidenziato Rosina, ma che mostra pure una “realtà penalizzante”: il 47% dei giovani si adegua a una retribuzione che considera insoddisfacente, oppure accetta un lavoro che non corrisponde alle proprie aspettative. Significativo pure il 48% di giovani disponibile ad andare all’estero: un dato al quale corrisponde il “boom” degli espatri, che ha visto nel 2012 quasi 80mila italiani lasciare la madrepatria (dati Aire), e tra costoro oltre 35mila under 40.
La realtà e le aspirazioni. Aspirazioni e realtà si scontrano, poi, nelle scelte di vita: vorrebbero avere da 2 a 4 figli, ma facendo i conti con la realtà dimezzano (da oltre il 30% al 15%) quanti ritengono che ne avranno 3 e aumentano le risposte a favore del figlio unico o addirittura per nessun figlio. Abituati all’uso delle nuove tecnologie, sono tuttavia scettici sulla capacità di produrre vero rinnovamento e incidere sui processi decisionali, convinti (50%) che “pur aumentando le possibilità di partecipazione, alla fine le decisioni vere passano ancora attraverso vecchi canali”. E, pur essendo consapevoli di essere “la principale ricchezza del Paese” (95,7%), hanno scarsa fiducia nelle istituzioni, dalle quali si sentono ignorati. Un campanello d’allarme cui ha risposto il sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Carlo Dell’Aringa, sostenendo l’esigenza di offrire “servizi validi” in grado di accompagnare i giovani al di là del guado, con un investimento che sia non solo economico, ma anche culturale.
Francesco Rossi (inviato Sir a Milano)