In quindici anni gli italiani nel mondo sono aumentati del 76,6%, raggiungendo la cifra di 5,5 milioni di persone. Un esodo – che comprende però anche le nuove nascite e le acquisizioni di cittadinanza – pari a quello avvenuto nel secondo dopoguerra. Migranti, quindi, siamo anche noi: nel solo 2009 hanno lasciato l’Italia ben 131.000 italiani. E non sono solo “cervelli in fuga” molto qualificati, come la narrazione attuale racconta. Dal 2006 ad oggi è aumentato certamente il livello di studi di chi parte (+193,3% di laureati) ma la crescita più alta è stata tra i diplomati (+292,5%) disposti a cercare qualsiasi lavoro. Con una sorpresa: si consolida il trend verso le Americhe e l’Europa, ma oltre ai classici Paesi che offrono impiego (Germania, Regno Unito, Svizzera, Francia) ora gli italiani scelgono anche altre mete per una vita migliore: Malta, Portogallo, Irlanda, Norvegia, Finlandia. E’ un movimento che spopola i piccoli centri e i territori più abbandonati e non solo dal Sud verso Nord, anche all’interno delle regioni settentrionali. E’ questa, in sintesi, la fotografia dell’emigrazione italiana che emerge dal Rapporto Italiani nel mondo 2020 diffuso il 27 ottobre dalla Fondazione Migrantes. Una edizione speciale a 15 anni dal primo volume, che vede alla presentazione ufficiale on line anche la presenza del premier Giuseppe Conte e del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.
All’estero aumentano le donne e i giovani. Nel 2006 gli italiani regolarmente iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) erano 3.106.251, nel 2020 hanno raggiunto quasi i 5,5 milioni. Le donne sono passate dal 46,2% sul totale iscritti 2006 al 48,0% del 2020. Una collettività che, rispetto al 2006, si sta ringiovanendo grazie alle nascite all’estero (+150,1%) e alla nuova mobilità costituita sia da nuclei familiari con minori al seguito (+84,3% della classe di età 0-18 anni) sia dai giovani e giovani adulti da inserire nel mercato del lavoro (+78,4% di aumento rispetto al 2006 nella classe 19-40 anni).
131 mila nel 2019 verso 186 Paesi. Nel 2019 hanno lasciato l’Italia ufficialmente 131 mila cittadini verso 186 destinazioni del mondo, da ogni provincia italiana. Contrariamente a quanto si pensa non sono solo i “cervelli” italiani in fuga. La maggioranza di chi si sposta è in possesso di un diploma e va alla ricerca di un lavoro “generico” all’estero. Complessivamente, le nuove iscrizioni all’Aire nel 2019 sono state 257.812 (di cui il 50,8% per espatrio, il 35,5% per nascita, il 3,6% per acquisizione cittadinanza). Secondo le analisi del rapporto nel 2006 il 68,4% dei residenti ufficiali all’estero aveva solo licenza media o elementare o addirittura nessun titolo, mentre il 31,6% era in possesso di un titolo medio alto (diploma, laurea o dottorato). Dal 2006 al 2018 cambia il trend: nel 2018, infatti, il 29,4% è laureato o dottorato e il 29,5% è diplomato mentre il 41,5% è ancora in possesso di un titolo di studio basso o non ha titolo. Se, però, rispetto al 2006 la percentuale di chi si è spostato all’estero con titolo alto (laurea o dottorato) è cresciuta del +193,3%, per chi lo ha fatto con in tasca un diploma l’aumento è stato di ben 100 punti decimali in più (+292,5%). “Viene così svelato – si legge nel report – un costante errore nella narrazione della mobilità recente raccontata come quasi esclusivamente composta da altamente qualificati occupati in nicchie di lavoro prestigiose e specialistiche quando, invece, a crescere sempre più è la componente dei diplomati alla ricerca all’estero di lavori generici”.
Verso “nuove frontiere”. Sono le Americhe e l’Europa, negli ultimi 15 anni (2006-2020, le principali mete della presenza degli italiani all’estero. Anche in Paesi meno consueti:
le “nuove frontiere” della mobilità sono infatti Malta (+632,8%), Portogallo (+399,4%), Irlanda (+332,1%), Norvegia (+277,9%) e Finlandia (+206,2%).
Il continente americano, soprattutto l’area latino-americana è cresciuta grazie alle acquisizioni di cittadinanza (+123,4% dal 2006) coinvolgendo soprattutto il Brasile (+221,3%), il Cile (+123,1%), l’Argentina (+114,9%) e, solo in parte in quanto la crisi è sicuramente più recente, il Venezuela (+47,4%). Oltre il 70% (+793.876) delle iscrizioni totali avute in America dal 2006 ha riguardato soltanto l’Argentina (+464.670) e il Brasile (+329.206).
In Europa 3 milioni di italiani. L’Europa, invece, negli ultimi quindici anni, è cresciuta maggiormente grazie alla nuova mobilità (+1.119.432 di presenze, per un totale, a inizio 2020, di quasi 3 milioni di residenti totali). I valori assoluti fanno risaltare i Paesi di vecchia mobilità come la Germania (oltre 252 mila nuove iscrizioni, +47,2%), il Regno Unito (quasi 215 mila), la Svizzera (più di 174 mila, +38%), la Francia (quasi 109 mila, +33,4%) e il Belgio (circa 59 mila, +27,3%). Per il Regno Unito, invece, e soprattutto per la Spagna, gli aumenti sono stati molto più consistenti, rispettivamente +147,9% e +242,1%. Gli italiani si sono spostati poi anche a Oriente, soprattutto Emirati Arabi e Cina.
Patrizia Caiffa