L’importante opera dell’ingegno letterario di Guido Hassan e Giuseppe Altamore “Auschwitz non vi avrà”, per le Edizioni San Paolo, illumina con forbito stile narrativo alcuni drammatici, disumani e crudeli avvenimenti del secondo conflitto mondiale, forse in verità mai sufficientemente chiariti come in questo impegnativo lavoro intellettuale che i due autori propongono al pubblico ed alla critica, letteraria e storica.
La testimonianza diretta che Guido Hassan apporta al racconto permette la ricostruzione esatta non solo di alcuni episodi della nostra recente storia contemporanea ma dà anche il giusto ed il logico approfondimento alla dimensione storico – politica dello Stato libico, valutandone le dominazioni straniere e l’evoluzione delle classi sociali del Paese, gli affari economici e le buone relazioni coloniali con l’Italia fascista di Benito Mussolini e del governatore Italo Balbo.
Di inestimabile interesse storico sono certamente oggi l’analisi della posizione di Mussolini, niente affatto contrario alla comunità ebraica di quel Paese, la costruttiva collaborazione politica che il regime avviò tra il governo coloniale italiano e l’intera comunità libica e compresa in essa, la comunità ebraica.
Questo ben avviato dialogo si diffuse tra il 1922 ed il 1937. Poi ci furono le leggi razziali, il regime fascista abbandonò la politica costruttiva e di contenimento diplomatico delle aspirazioni, delle rivendicazioni ed ambizioni hitleriane di dominio sull’Europa, per correre al contrario ad allearsi addirittura proprio con la Germania nazista.
Ecco allora che si vide l’Italia rinunciare al ruolo di arbitro equidistante tra gli opposti interessi europei della Germania totalitaria da un lato e delle democrazie franco – inglesi dall’altro, cioè quel ruolo di salvataggio della pace, e si assisté invece alla presa di posizione con lo schieramento a favore del nazionalismo e delle aspirazioni alla riedificazione della grande Germania.
Fu probabilmente quella, la decisione del governo fascista più criticata oggi dagli storici perché – insieme col sostanziale fallimento della Società delle Nazioni – fece poi precipitare gli eventi verso quella tanto distruttiva e terribile guerra europea che portò a quelle tragiche conseguenze, così bene analizzate dai due autori nel loro eminente sforzo intellettuale.
La guerra fece precipitare la normale vita di relazione nello sconvolgimento generale per le nazioni, i popoli ed i gruppi etnici. Ciascuno corse a difendersi, come potè e meglio che potè .
In questo fondamentale quadro così ben ordinato dalla viva testimonianza di Guido Hassan, la sua famiglia – i genitori Gino e Linda e i due figli piccoli, Guido appunto e Fiorella – la quale già durante lo stesso fidanzamento, aveva dovuto difendere il vicendevole sentimento d’amore, ostacolato però dai congiunti della futura sposa, in nome di quella futura costruzione – “consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio” – si venne a trovare, come tutti gli altri appartenenti alla comunità ebraica di Libia, al centro di quella terribile guerra e costretta ad abbandonare la comunità nordafricana vivendo quel momento tra inenarrabili traversie e diverse peripezie prima in Italia e poi nel tentativo, riuscito, di cercare rifugio in Svizzera, unica nazione pronta a concedere qualche temporaneo asilo, in quei tanto drammatici giorni.
L’imperativo categorico fu in quel frangente per ciascun appartenente alla comunità ebraica, di fuggire per salvarsi dalla fame, dai bombardamenti, dalle ostilità, dai nemici delatori e corrotti, pronti a denunciare ai nazifascisti quelle tanto drammatiche fughe dal conflitto, spesso concluse con risultati tragici.
Il racconto registra il lieto fine, con tutti i componenti della famiglia Hassan miracolosamente salvi, ma il grande valore letterario e storico dell’opera risiede nell’avere illustrato la prova di grande coraggio dimostrato nelle particolari circostanze dalla famiglia Hassan e nell’ aver ben evidenziato il sostegno di essa ai valori di fratellanza universale e di pace.
Ricordiamo tutti il vigoroso ed appassionato appello di Papa Paolo VI° dalla tribuna dell’ONU nell’ ottobre del 1965: “Jamais la guerre, jamais la guerre”.
Le guerre portano il gravissimo effetto, il risultato – tra tutti gli altri danni “collaterali” per le popolazioni civili – di drammatizzare in modo inimmaginabile gli antagonismi, di riacutizzare, di ingrandire a dismisura i sentimenti di divisione, di creare i presupposti per rancori mai domi, tra fazioni all’interno delle Nazioni, tra gruppi economici stessi, e tra le Nazioni in ogni parte del Mondo.
Come combattere l’indifferenza che procura l’odio? Con la tolleranza ed il rispetto, cioè con i valori fondamentali e basilari che uniscono il genere umano ed impediscono anche la sussistenza di rischi di divisione, di arroganza e perfino di caduta nel negazionismo.
Come superare quelle anacronistiche sudditanze, documentate ed esposte nel corso dell’impegnativa realizzazione letteraria, che forse ancora oggi serpeggiano in qualche modo tra insofferenze generate da conformismo, da pregiudizi e sicuramente da egoismo? Occorre rafforzare allora dovunque nel Mondo la cultura della Pace, l’unica in grado di promuovere la collaborazione e la condivisione tra le diverse componenti etniche del Medio Oriente.
È essenziale la disponibilità alla collaborazione tra tutti i paesi interessati ed ivi compresi i gruppi etnici per il raggiungimento di questo grande obiettivo, auspicato magistralmente dal presidente americano John Kennedy nel suo secondo e ultimo intervento all’ONU: “La pace è un processo che si attua di giorno in giorno, di settimana in settimana, di mese in mese, modificando gradualmente opinioni, logorando lentamente vecchie barriere, creando silenziosamente nuove strutture….”.
Questo insegnamento fondamentale che emerge anche dalle vicissitudini sofferte dalla famiglia Hassan, per sopravvivere alla violenza e alla guerra, rende estremamente avvincente e vivo tutto il lavoro letterario, così ben organizzato e così ben riuscito.
Sebastiano Catalano