Alessandra Distefano sceglie un grande musicista e una delle sonate più famose per dare il titolo al suo ultimo libro “Beethoven al chiaro di luna”, con la prefazione di Giuseppe Manfridi.
Ma cosa si cela – ci chiediamo – dietro questa scelta e cosa ha voluto dire l’autrice riferendosi ad una delle musiche più belle del grande compositore che probabilmente dedicò questa sua composizione alla sua allieva preferita e forse da lui amata, la diciannovenne contessina Giulietta Guicciardi.
L’opera della Distefano impegna il lettore in un susseguirsi di personaggi ed eventi che a prima vista sembrerebbe non avere un filo conduttore, ma essere piuttosto la scelta di mettere insieme, in un armonico assemblaggio, racconti che parlano di amore, di solitudine, di sofferenza, ma anche di gioia, del ritrovare il senso della vita e avere voglia di ricominciare, anche dopo aver toccato il baratro della sofferenza.
Non è però così semplice entrare nei racconti che si snodano, seguendo la partitura della sonata di Beethoven in un primo, poi secondo ed infine terzo movimento, è invece una piacevole scommessa tra autrice e lettore entrare prima in sordina e poi profondamente nel piacevole vortice di emozioni che i racconti danno nel loro insieme.
L’autrice segue il tema della sonata che da quieto ma deciso poi incalza, con un andamento delicato, avviandosi alla conclusione con una atmosfera meditativa. Beethoven nelle struggenti note dell’ultimo movimento “presto agitato” sembra soccombere al suo ineluttabile e amaro destino; ma non così è per il protagonista del terzo movimento del libro, un uomo solo e amareggiato per la fine di un amore, che si risolleva grazie ad un fortuito e casuale incontro con una ragazzina impertinente che sarà l’artefice della sua rinascita artistica e umana. Un turbinio di emozioni cambieranno in meglio la vita di David, il protagonista.
L’”adagio sostenuto” del primo movimento ha per protagonista il cuore di Lidia, un cuore spezzato, sofferente, per la fine del suo amore per Franz. La solitudine e le lacrime sono per sé stessa e per Franz; “dimenticami Franz, dimenticami. Io domani ti dirò addio, però silenziosamente, ma lo sappiamo tutti e due che non tornerò. Non rinuncerò a pensarti perché i pensieri sono liberi e riempiono l’anima”.
Ma dall’abisso della sofferenza, che sembra non avere fine, l’incontro con Giulian, che la consola cingendole affettuosamente le spalle, pronto a raccogliere tutto il suo dolore di “vedova” che deve elaborare faticosamente il suo “lutto”, la condurrà alla rinascita. Guardando Giulian con occhi diversi capirà che il dolore è stato elaborato, vissuto, e adesso il suo cuore è pronto a nuovi giorni, a nuova vita.
Il corpo centrale del libro, il secondo movimento, l’”allegretto”, cattura il lettore in ogni singolo racconto che racchiude, nelle poche pagine di cui si compone, i bagliori della speranza che accende i cuori, che brilla anche nei giorni più bui lasciando spazio ad una rinnovata leggerezza, percorrendo strade diverse dal solito, mai stanchi di esplorare anche le pieghe più nascoste dell’anima.
Gabriella Puleo