Quello di “raccontarsi”, di proporre al prossimo le proprie vicissitudini esistenziali risponde ad un naturale bisogno dell’animo umano. Tutti, pertanto, siamo tentati dall’autobiografismo che si può estrinsecare in forma orale, in forma scritta e in forma comportamentale. Ciò muove da spinte che attingono in senso verticale dai ricordi del proprio vissuto e nel contempo a spinte che in senso orizzontale mirano alla socialità e alla comunione con l’ ”altro”.
Evidentemente la forma più allettante di autobiografismo è quella di narrare letterariamente la propria vicenda umana. Ogni biografia pertanto anche nella sua semplicità o banalità è legittimata dal bisogno ancestrale di esprimere, contemplare, rivedere il proprio vissuto ed esternarlo per soddisfare magari l’ineludibile componente narcisistica che è in noi.
Ma, se evocare i ricordi del proprio passato può risultare mero diletto che indulge al narcisismo e all’autocompiacimento, nel lavoro di Teresa Scaravilli “Raccontarsi per riconoscersi”, notiamo che l’Autrice sa ben comporre la trama della sua narrazione sfuggendo ad una trattazione egocentrica per dar vita ed animarla tutto un mondo di affetti, di eventi, di luoghi in cui la sua identità personale si espande e si oggettiva fondendosi armonicamente con quella realtà evocata.
La narrazione pertanto immerge il lettore in una dimensione di fervente socialità e di armonica convivenza nella quale la famiglia e il quartiere sono i sacri templi in cui si dipana la trama dei ricordi di quei luoghi che un tempo pulsavano di vita attiva sotto l’egida dei domestici Lari. Dalla sacralità del focolare domestico e da tutto il contesto rionale traevano alimento quotidiano i supremi valori etico-religiosi che caratterizzano la qualità della vita.
Nel rivedersi immersa in quel mondo ritratto nel fervore della sua età evolutiva, l’Autrice ripristina e dà vita all’universo folclorico delle abitudini e delle tradizioni avite, che nella ricchezza della loro colorita fenomenologia, fanno da contraltare a quella realtà grama e misera di un tempo lievitandola con gli umori vitali oggi misconosciuti.
Coltivare i ricordi non si riduce quindi ad un nostalgico richiamo al passato, vana reminiscenza che intristisce, ma è un andare investigando e riscoprire gli elementi costitutivi che hanno forgiato e caratterizzato l’identità personale della narratrice, per cui “Raccontare per riconoscersi” non è un mero gioco passatista.
Al di là infatti di quel passato rorido di affetti e pregno di tanta umanità, l’opera esprime il perenne e palpitante monito che induce al ripristino di quei valori che nel mondo di oggi sembrano obsoleti ma nel quale non si sa alimentarne di nuovi. Ribadiamo infatti con Virgilio “atque meminisse invabit”, gioverà sempre cioè il ricordare.
Pippo Nigrelli
(docente di Lettere classiche)