I tagli nei Comuni, specie quelli piccoli, sulla pelle dei cittadini, specie i più deboli

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municipioOrmai non passa giorno senza che qualche sindaco o qualche associazione di amministratori locali ci metta in allarme per i possibili ridimensionamenti di qualche servizio. Questa volta, in Sicilia, si è fatta sentire l’Associazione dei 25 Comuni di montagna. La quale ci fa sapere che gli scolari di Castellana Sicula dovranno pagarsi il biglietto per Gangi; che a San Salvatore di Fitalia viene soppressa l’assistenza infermieristica domiciliare; che ad Alcara Li Fusi viene sospesa l’illuminazione delle viabilità rurale, oltre 50 chilometri tra le montagne; che a Sinagra i dipendenti comunali passeranno al part time, nella migliore delle ipotesi.
Per la verità, non ce ne sarebbe bisogno perché con la stessa cadenza qualche associazione di cittadini o qualche istituto di rilevazioni statistiche ci fornisce gli stessi dati. Nemmeno di questo ci sarebbe necessità perché ciascuno di noi può sperimentare direttamente sulla sua pelle il peggiorare di questo fenomeno. Naturalmente, come sempre accade, a risentirne di più sono le categorie più povere, quelle che non possono supplire alle carenze con una sorta di autofinanziamento ma devono rassegnarsi a subire i disagi. Ci vuole davvero poco a capire che in questa escalation al peggio i vari governi centrali si sono comportati con cinismo.
Prendere direttamente provvedimenti gravosi per le tasche dei cittadini non è popolare, si sa, quindi meglio evitarlo anche se è immorale. Allora ci si limita a diminuire i fondi agli enti locali: così saranno gli ammini-stratori a fare la faccia truce. Dovranno aumentare le imposizioni locali, chiedere compartecipazioni alla spesa e peggiorare la qualità dei servizi. E’ un brutto comportamento e non lo rende certo migliore l’ipocrita richiamo alle capacità e al senso di responsabilità degli amministratori.
Si ha come l’impressione che i governanti considerino incapaci o ladri gli amministratori, sembra che dicano loro: “Se farete bene il vostro lavoro i fondi vi basteranno”. In questa situazione c’è però un tratto che accomuna politici ed amministratori: capita troppo raramente che decidano pragmaticamente, qui e subito, di diminuire le loro retribuzioni e questo oggi è davvero scandaloso.
Ricordiamo cosa è successo nei mesi passati. Si è parlato di diminuire quelle retribuzioni e c’è stato un fiorire di numeri, un rimbalzare di statistiche incomprensibili che non hanno sortito alcun effetto concreto. Alla fine c’è stato anche detto che le differenze di legislazione non consentono un’adeguata comparazione dei guadagni dei nostri politici con quelli dei loro colleghi europei. Senza entrare nel merito di questo risultato sconcertante, c’è un tratto che salta subito all’occhio. Gli italiani non sostengono affatto che i loro governanti stiano meglio o peggio dei loro colleghi stranieri. Gli italiani, molto più semplicemente, ritengono che i loro governanti e tutti i gli alti burocrati di Stato guadagnino troppo. Punto.
Questo troppo si deve intendere in valore assoluto o, se proprio lo si deve confrontare con qualcosa, questo non può essere altro che la retribuzione media dei cittadini. Che pagano quegli stipendi con le loro tasse. Se qualcuno non ha capito questo non può fare né il politico né l’amministratore perché è palesemente incapace. 
Vale la pena sottolineare anche un ulteriore aspetto non direttamente monetario. In campi come questo immorale è sinonimo di ingiusto. Per chi lo avesse dimenticato, vale la pena ricordare che in tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento in modo uniforme, la giustizia viene sempre accomunata alla pace, camminano insieme. Non saremo così ingenui da dire che questa disparità di trattamento economico e l’ingiustizia che determina siano la causa di tutti i mali di questa società. Tuttavia non è sbagliato dire che chi ritiene di essere ingiustamente depredato dalla propria classe dirigente non si sente certamente motivato a realizzare quei sacrifici e quei comportamenti virtuosi che si sente chiedere ma non vede praticare.

                                                                                             Annamaria Distefano

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