La gestione del Recovery plan, tra intenti e speranze, ricorda la storia di un direttore generale. Una storiella molto nota nell’ambiente dei topmanager, citata anche in occasione dell’ultimo Top Management Forum di Milano.
C’era una volta un direttore generale…
…che era stato licenziato perché non aveva portato i risultati promessi. L’azienda gli chiese di rimanere una settimana in più, per fare un breve periodo di affiancamento al suo successore. Dopo aver fatto il periodo di affiancamento col nuovo direttore generale, spiegando le problematiche da affrontare irrisolte, come ultimo gesto si rivolse a colui che lo avrebbe sostituito il giorno seguente. “Ti ho lasciato nel cassetto 3 buste, numerate dal numero uno al numero tre, quando ti troverai in difficoltà col business e non sai cosa fare, ti consiglio di aprile rispettandone l’ ordine, sono sicuro che ti serviranno” gli disse. E augurandogli buona fortuna, si congedò.
Il nuovo direttore
Ormai da un anno alla guida dell’azienda, non riusciva a portare gli obiettivi promessi. Sia a causa del mercato che non era in una congiuntura espansiva, sia a causa dei collaboratori non scelti da lui, che si era trovato in azienda al suo arrivo. In pratica, non sapeva più come affrontare la questione con la proprietà e, temendo per la sua poltrona, si ricordò delle buste da aprire in caso di bisogno.
La prima busta
Va nel cassetto e aprì la prima. V’era scritto: ”Da’ la colpa al tuo predecessore”. “Ottima idea!” pensò. Preparò così una bella presentazione da mostrare all’assemblea degli azionisti, piena di grafici, tabelle, analisi, dimostrando che tutti i mali dell’azienda venivano dalla passata gestione e dai manager che si era trovato in azienda al suo arrivo non all’altezza del ruolo. Lui aveva bisogno di tempo per raddrizzare la situazione con una squadra di sua fiducia. La proprietà si convinse e gli diede 1 anno di tempo per portare i risultati e il budget, cambiare i managers di prima linea e sceglierli di sua fiducia.
Passato un anno…
…la situazione non solo non era migliorata ma addirittura era peggiorata pesantemente. I risultati promessi non arrivavano e i debiti si accumulavano, mentre le banche premevano. Il consiglio di amministrazione propendeva per la sostituzione del direttore generale, che ovviamente, visto il suo stipendio e la mancanza di alternative lavorative altrove, voleva rimanere incollato alla poltrona più a lungo possibile. Non sapendo cosa, fare si ricordò della seconda busta lasciata nel cassetto dal suo predecessore.
La seconda busta
La aprì e c’era scritto: “Fa’ un piano a 3 anni”. Sembrava un’ottima idea per prendere tempo e prolungare la permanenza sulla poltrona da amministratore delegato. Allora prepara un piano business plan a 3 anni, come fosse un Recovery plan e questa vota fa le cose in grande. Lo presenta in una convention con tutti gli stakeholder, gli azionisti, la stampa, fornitori, in pratica tutti i portatori di interessi verso l’azienda, insomma una sorta di Stati generali dell’azienda. Preparò una corposa presentazione ricca di dati, grafici, immagini, piani di sviluppo, obiettivi ambizioni, proprio come piace alla proprietà e la mercato. Così facendo, riuscì ad ottenere per a seconda volta la fiducia e rimanere al governo dell’azienda.
L’obiettivo a 3 anni
L’obiettivo era portare avanti l’ambizioso piano di risanamento dell’azienda finanziato dalle banche che, ancora una volta, non portarono l’azienda in tribunale ma attesero i risultati promessi. Passarono 3 anni e di quei risultati non si vide neanche l’ombra. Il consiglio di amministrazione, con le banche alla gola e i gravi debiti aziendali, convocò il direttore generale. Questo, non sapendo che scusa inventarsi, si ricordò che nel cassetto c’era una terza busta da aprire, l’ultima. Memore dei buoni consigli delle prime due buste, si tranquillizzò. Si mise sulla poltrona da direttore generale e aprì la terza busta, aspettandosi la soluzione ai suoi problemi. Ma stavolta c’era scritto: “Prepara 3 buste e mettile nel cassetto per il tuo successore”.
Recovery plan: cosa insegna la storia del direttore generale incapace
Questa storiella, che annoveriamo nella rubrica specialistica #LaVoceDelManager, ci lascia tre insegnamenti fondamentali:
- Non sempre gli interessi dell’azienda e del direttore generale coincidono. In gergo si parla di “misaligned goals”.
- Prima si cambia il direttore generale incapace meglio è. Sottinteso: prima se ne va meno danno fa, in gergo si dice “the sooner the better”.
- La narrazione “dopo di me il nulla” (“after me nothing”) è il classico “disco di vendita” del direttore generale che lascerebbe intendere come senza di lui l’azienda crollerebbe. Di fatto non è mai vero: il business, gli stipendi, i #finanziamenti arrivano lo stesso. Anzi spesso ne arrivano di più perché il mercato vede positivamente un cambio di passo nella gestione (si dice “business must go on”).
G.C.