Il volto di don Marco Pozza, il parroco del carcere Due Palazzi di Padova è ormai ben conosciuto. O almeno dovrebbe esserlo, visto che sono molti i lettori dei suoi numerosi libri. L’ultimo appena uscito il 17 settembre dal titolo “Chi ultimo arriva meglio alloggia” (Rizzoli, 2024).
Conosciuto anche per la sua presenza, piuttosto ricorrente, su Rai1 nella trasmissione “A sua immagine”, sui social e sulla rete con il sito web personale www.sullastradadiemmaus.it, e per la sua amicizia con papa Francesco che non nasconde affatto e con cui ha scritto alcuni dei suoi libri (l’ultimo, nel 2021 “Dei vizi e delle virtù” (sempre con la Rizzoli), ormai disponibili in BUR e tradotti in tutto il mondo.
Un giovane sacerdote, don Marco, nato negli ultimi giorni del 1979 a Calvene, nell’alto vicentino. Dottore in Teologia e dalla “penna dissacrante e profonda” nei suoi libri, e dalle provocazioni e divagazioni evangeliche che non risparmia nelle sue omelie e nei frequentissimi incontri di riflessione e conferenze, e nella presentazione dei suoi libri in ogni parte d’Italia.
Le “vacanze in quota per l’anima” di don Marco Pozza
Tra le sue ultime provocazioni, riferiamo delle “Vacanze in quota per l’anima”, pensate come un “tentativo di dare un’anima alle vacanze”. In un luogo, la Val di Fassa in Trentino e precisamente a Soraga di Fassa, a 1.207 mt, circondata dalle Dolomiti, e attraversata dal torrente Avisio.
Una proposta che raggiunge e subito coinvolge una cinquantina di persone da numerose regioni, isole comprese, nei primi giorni d’aprile di quest’anno. Persone che si danno appuntamento dall’8 al 15 settembre presso il Soggiorno-Albergo don Orione di Soraga, gestito da Agostino Tarquini e dalla sua famiglia.
Otto giornate scandite dalla preghiera liturgica delle Lodi e dei Vespri, dalla celebrazione quotidiana dell’Eucarestia. E nelle mattinate, da passeggiate – un camminare insieme – nell’incantevole scenario della Val di Fassa. Poi nei pomeriggi da una riflessione sulla “lunga, anzi lunghissima storia d’amore” che è l’avventura della fede cristiana oggi.
Una sorta di “teologia delle prime armi” fatta in alta quota, in cinque tappe: la scintilla d’amore (la creazione e la storia d’Israele fino a Mosè ed Abramo), la figura di Gesù di Nazareth, la sua storia che continua nella Chiesa con i segni dei Sacramenti, la figura di Maria e di San Paolo. Sempre sul fil rouge della canzone di Gino Paoli “Una lunga storia d’amore”, ad inizio di ogni incontro.
Con don Marco Pozza due detenuti del carcere di Padova
Ma la provocazione più grande, e la più coinvolgente sotto tutti i punti di visti, don Marco l’ha offerta a tutti i partecipanti alla “vacanza” portando con sé due detenuti della patria galera di Padova. Questi, col permesso del magistrato e i controlli periodici dei Carabinieri nei giorni in questione, stanno percorrendo un cammino di cambiamento.
Nulla abbiamo saputo delle cause della detenzione, fino alla fine della “vacanza” quando hanno raccontato la loro storia. 31 anni di carcere per Antonio, di Scampia, ed ergastolo, anzi doppio ergastolo per Fahd, d’origine marocchina. Antonio, quarantenne, da 22 anni in carcere, ora, convertito e battezzato, fa anche da chierichetto a don Marco nella parrocchia del carcere.
Per Fahd, di 42 anni e dal 2009 in carcere, già musulmano a Marrakech, in atto c’è un percorso di catecumenato che lo porterà a breve al battesimo.
Antonio e Fahd sono due tra i 150 parrocchiani del carcere, su circa 600 detenuti, che vogliono cambiare, riconoscendo i propri errori. Niente sconti di pena a nessuno, se non quelli previsti dalle leggi carcerarie. Devono scontare la pena: c’è però un desiderio di libertà, quella che è stata persa ed ora sognata.
C’è sempre un’occasione di riscatto
“Non è finito tutto, anche quando si vuole che il colpevole – assassino o delinquente o semplice spacciatore – marcisca in galera fino alla fine dei suoi giorni”. Questo è stato il mantra dei giorni a Soraga. Perché “quello che è impossibile all’uomo è un’occasione per Dio” di entrare nel cuore delle persone e decidersi di cambiare vita, di ritornare a vivere. L’ha testimoniato Chiara, una catechista della parrocchia del carcere venuta a trovare da Padova i suoi amici-fratelli “allievi”. E anche Simone, un noto imprenditore che ha promesso, dopo aver conosciuto le storie di Antonio e di Fahd, che stavano per essere la sua storia, di aiutarli facendoli lavorare nelle sue aziende, e lo stesso don Marco, che riconosce in Antonio un amico “teologo”, dopo lo scrittore Erri De Luca, suo primo teologo, e la nonna.
Don Marco ha fatto largo uso, nelle sue riflessioni, di scritti di molti autori. Tra i suoi preferiti lo stesso Erri De Luca, Charlie Peguy, Antoine de Saint Exupéry, Francois Mauriac, Alessandro Manzoni, Christian Bonin. Ed anche cantautori come Niccolò Fabi, oltre a Gino Paoli, e Franco Battiato con “E ti vengo a cercare”. Con il suo ascolto si è chiusa la stupefacente, in tutti i sensi, vacanza.
Necessario amare nel momento del bisogno
Premetteva don Marco, prendendo in prestito il pensiero di Bonin, che “la faccenda che c’innervosisce e rattrista è che, certe volte, la frenesia del quotidiano rischia di spegnerci quei piccoli incendi che ardono nel nostro cuore. E c’impedisce di vedere e gustare quanti <tesori di teologia vivente ci sono negli ospedali psichiatrici, nelle case di riposo e nelle prigioni, che dovremo imparare a leggere>. L’anima, quand’è stanca, appesantisce anche lo sguardo e il pensiero. E ci ficca nelle condizioni di perderci tanti appuntamenti gratuiti che la bellezza ha disseminato esclusivamente per noi nelle nostre giornate”.
Così è stato e nei giorni di “questa” vacanza tutti son tornati a casa con una percezione un po’ diversa di tutto. Dei carcerati, della nostra fede/storia d’amore con tanti inciampi e qualche passo in avanti, comunque.
“Resta il fatto – nel pensiero di ringraziamento che don Marco ha rivolto a conclusione della ottogiorni – che amare l’uomo quando meno se lo merita, diventerà l’attimo su cui fare la differenza. Perché è in quel momento che ne ha più bisogno”.
Vincenzo Caruso