Il non è tanto, o non solo, il tempo che si passa su Facebook ma l’importanza che si dà a quanto accade sul social. Alcuni giovani se dopo aver cambiato l’immagine del profilo non ricevono immediatamente like e cuori, pensano di non valere niente.
È questo quanto emerge da due ricerche del Dipartimento di psicologia dello sviluppo e socializzazione all’università di Padova. Si tratta di due ricerche condotte da psicologi italiani, una pubblicata su Computers in Human Behavior, l’altra sul Journal of affective disorders. Hanno indagato l’uso problematico del più famoso social network del pianeta e insieme delineato l’identikit per così dire dell’utilizzatore problematico di Fb.
Prima di tutto, cosa si intende per uso problematico di un social?
Un uso compulsivo, che comporta un livello di preoccupazione eccessivo per quanto accade online, e mancanza di autoregolazione del livello di preoccupazione per quanto sul social succede: un tipo di utilizzo che inevitabilmente impatta negativamente nella vita quotidiana, nello studio, nel lavoro e in famiglia.
Gli utenti che utilizzano Facebook in maniera problematica sono più a rischio di di stress psicologico, cioè di angoscia, maggiori livelli di ansia e depressione. E hanno meno piacere di vivere e meno soddisfazione per la loro vita.
Inoltre l’uso problematico di Facebook si associa più spesso una bassa autostima ed è più propenso a essere un utilizzatore problematico di Facebook chi ha alti livelli di nervosismo, che significa avere bassi livelli di stabilità emotiva. Mentre, al contrario, esiste una associazione negativa tra coscienziosità e uso problematico del social: in pratica chi tende all’approfondimento, all’analisi, chi ha un alto senso del dovere in genere dice che su Fb non ci perde tempo.
Infine gli autori hanno studiato quali sono le motivazioni che spingono a usare Fb, rilevando che gli utilizzatori problematici sono più spesso spinti da motivi interiori. Ricorre, cioè, più spesso tra loro il bisogno di andare su Fb per attenuare emozioni interiori negative, per esempio la sensazione di essere un emarginato, uno sfigato.
Facebook è uno strumento molto utile e, se usato in modo corretto e controllato, può addirittura avere un ruolo positivo nella percezione di capitale sociale, di senso di appartenenza alla comunità e di supporto sociale. I risultati dei due studi dicono infatti che piuttosto che limitarne l’uso, in termini di frequenza e tempo speso, sarebbe bene limitarsi nell’attribuzione dell’importanza delle cose che accadono online.
Insomma, è l’investimento di se stessi nel social network e come gestiamo le reazioni, o le non reazioni degli altri, che determina la qualità dell’uso del mezzo. Sarebbe inutile e anacronistico vietare l’uso o chiedere agli utenti di astenersi da Facebook. L’indicazione è: usiamolo ma consapevolmente.
Proprio per questo motivo gli studiosi hanno pensato a dei modelli preventivi che verranno diffusi nelle scuole medie primarie e secondarie di Padova e Rovigo per accompagnare i nuovi nativi digitali nella formazione della propria identità individuale e sociale attraverso un uso positivo delle tecnologie e verranno tenuti anche corsi di formazione per gli insegnanti.
Paola Dalla Torre