Riconoscimento / Al Festival di Cannes vince il cineasta degli ultimi, dei poveri e degli sconfitti

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epa05323856 British director Ken Loach reacts as he receives the Palme d'Or (Golden Palm) award for his movie 'I, Daniel Blake' during the Closing Award Ceremony of the 69th Cannes Film Festival, in Cannes, France, 22 May 2016. For the first time in the festival history, the Golden Palm winning movie will be screened at the closing ceremony. EPA/SEBASTIEN NOGIER

Trionfo di Ken Loach con “I, Daniel Blake”, la storia dell’incontro fra un carpentiere reduce da un infarto e una giovane mamma single senza lavoro. A quasi ottant’anni, il regista britannico torna a parlare di lavoratori, genitori, persone che all’improvviso si ritrovano in mezzo a una strada a causa di un infortunio, una malattia, un caso della vita. Vicende umani, reali e toccanti, di persone comuni che devono lottare per la sopravvivenza.

A trionfare all’ultima edizione del Festival di Cannes è stato Ken Loach con “I, Daniel Blake”, la storia

epa05323856 British director Ken Loach reacts as he receives the Palme d'Or (Golden Palm) award for his movie 'I, Daniel Blake' during the Closing Award Ceremony of the 69th Cannes Film Festival, in Cannes, France, 22 May 2016. For the first time in the festival history, the Golden Palm winning movie will be screened at the closing ceremony.  EPA/SEBASTIEN NOGIER

dell’incontro fra un carpentiere reduce da un infarto e una giovane mamma single senza lavoro. A cinquant’anni esatti da “Cathy come Home”, il suo film per la tv dedicato agli homeless, il regista britannico torna a parlare di lavoratori, genitori, persone che all’improvviso si ritrovano in mezzo a una strada a causa di un infortunio, una malattia, un caso della vita. E a quasi ottant’anni Loach non vuole smettere di raccontare le vicende umani, reali e toccanti, di persone comuni che devono lottare per la loro semplice sopravvivenza.

Il suo cinema civile, coerente per stile e per soggetto, sembra non volere andare in pensione

e la vittoria a Cannes (10 anni dopo “Il vento che accarezza l’erba”, film storico sulla guerra civile in Irlanda) decreta ancora una volta la sua forza e soprattutto la sua sempre perenne attualità.
Un cinema il suo che, dopo le forti vene polemiche ed ideologiche dei primi anni, si è “smorzato”, in senso positivo, verso una pacata denuncia, meno faziosa ma pur sempre legata alla politica, delle condizioni di miseria degli ultimi e degli invisibili delle nostre società occidentali avanzate.

Un’attenzione ai poveri, agli emarginati, a chi, per differenti motivi, viene lasciato colpevolmente indietro da una società proiettata verso i valori del denaro, della bellezza, della gioventù e del successo ad ogni costo.

Un cinema dalla parte dei deboli, descritto con l’urgenza di chi non vuole arrendersi di fronte alle ingiustizie del mondo e le denuncia attraverso un linguaggio realistico, che parte dall’osservazione partecipata delle vicende che racconta. Un cinema ad altezza dell’uomo che ne racconta la dignità e l’integrità, anche di fronte a situazioni che invece tendono a privarlo del tutto della propria rispettabilità.
Non a caso nel 2012, l’Ente dello Spettacolo aveva assegnato proprio a Loach, durante il Festival di Venezia, il prestigio Premio Bresson, che viene riservato a tutti quei cineasti che, come l’autore francese Bresson, si sono spesi e si spendono per film che raccontino l’uomo, la moralità, la spiritualità. Il premio a Loach era stato assegnato a lui perché: “Come lui nessuno mai: Ken Loach è l’epitome stessa dell’impegno al cinema. L’ultimo working class hero della settima arte, capace di coniugare realismo e virate immaginifiche, empatia e critica sociale, nel segno di una costante attenzione per i più deboli. Per Ken Loach il cinema può ancora cambiare il mondo: può entrare in fabbrica e nelle periferie, nella marginalità e nella disperazione, per uscirne più forte e consapevole, affidando al proiettore un raggio di luce che squarcia le tenebre della sperequazione, dell’homo homini lupus. Assegnare a Ken Loach il Premio Robert Bresson istituisce un ponte tra questi due grandi cineasti, e dove risiede questo legame se non nella comune umanità, la condivisa volontà di dire qui e ora dell’Uomo e dei suoi aneliti, della lotta quotidiana per un futuro migliore, e dignitoso”.
Anche il Festival di Cannes, dunque, offre un nuovo tributo oggi a questo cineasta degli ultimi, dei poveri e degli sconfitti, che riaffermano, però, sempre, la loro profonda dignità e umanità.

Paola Dalla Torre

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