Il suo sorriso illuminante, la sua dolcezza e il suo temperamento sono aspetti che tutti quelli che hanno incontrato padre Giuseppe Cardillo, anche per una sola ora, difficilmente dimenticheranno. Scrive don Dino Pirri: “Caro Gesù, se non so far vedere il tuo sorriso, che lo faccio a fare il prete?”. L’incontro con padre Giuseppe Cardillo non era mai banale ma pieno di ricordi e tuffi nel passato, di punti di vista sulla società, sui giovani, sulla vita, con opinioni sempre costruttive e mai scontate.
Il suo saluto esordiva così: “Pace e bene fratello”. La conversazione era imprevedibile ma interessante. I riferimenti che non potevano mancare la sua fanciullezza e la devozione alla Madonna. Personalmente mi raccontava spesso del suo incontro con il Servo di Dio Enrico Medi nel 1954, laico scienziato che lo attrasse per il suo intelletto e il suo carisma. Un incontro non casuale: il Medi era un innamorato di Dio e padre Cardillo era innamorato del suo sacerdozio.
Lui è stato un candido esempio di fedeltà al Signore. “Il fiore del primo amore appassisce se non supera la prova della fedeltà”: queste parole del filosofo e teologo Soren Kierkegaard ci danno la risposta a tutto ciò. La fede, mi disse padre Giuseppe Cardillo un giorno , “è lasciarsi guidare dal Signore per mano nella nostra vita, meglio di un navigatore perché Lui è sempre connesso”. Grande fede la sua, dispensava consigli e buone pratiche, uomo dal cuore puro.
Lui è stato un sacerdote secolare. Ottantatré anni è solo il formale dato anagrafico. L’età dello spirito non aveva limiti. Certo che li dimostrava, di acciacchi e guai fisici ne aveva passati anche fin troppi, soltanto che possedeva una energia che nemmeno un trentenne può vantare. Non è stato così per un virus subdolo e vigliacco. Non era dottrinale e sapeva spiegare la fede. Sapeva comunicare quel tesoro di “cose antiche e nuove” di cui parlava Gesù, quando invitava i suoi discepoli a insegnare il nuovo da lui portato senza tralasciare l’antico (Matteo 13,52). E lo faceva con semplicità.
Lui è stato un profondo devoto dell’Immacolata. Le guance arrossate, il tono possente della voce a tratti quasi musicale, le lacrime di commozione che a quel punto scendevano inevitabilmente al culmine delle sue omelie, ci raccontano un uomo incantato delle sue origini, della sua chiesa dove ha alimentato la vocazione e la devozione all’Immacolata. Per dirla con i versi di un canto liturgico, in padre Giuseppe Cardillo era sempre presente la “fiamma che arde nel petto”.
I suoi racconti sulla storia del paese e della chiesa parrocchiale di Dagala, gli aneddoti, i personaggi, l’esperienza delle due guerre e la paura dei terremoti, la sincera e profonda devozione all’Immacolata, i racconti sulla campagna, le vigne e la vendemmia, con questi argomenti mi ha rivelato un testamento storico prezioso che custodirò con fierezza. Dagala del Re, dopo la scomparsa del professore di storia dell’arte Vincenzo Grasso (coetaneo di padre Giuseppe Cardillo) perde un altro scrigno di saggezza e storia locale. Tutta la diocesi perde un sacerdote mite e umile.
Arrivederci padre Giuseppe, infondi in noi sempre “pace e bene”.
Domenico Strano