Il saloncino della parrocchia di San Giovanni Bosco è avvolto nella penombra, per una migliore visione dello schermo sul fondo, su cui campeggia la locandina dell’evento di stasera, con la scritta “Cantus firmus” e la foto sorridente di don Antonino Franco, presbitero della nostra diocesi, deceduto a Randazzo il 26 marzo scorso.
Qualche minuto di attesa, mentre arrivano coloro che, con le loro parole o con la loro presenza soltanto, daranno vita all’evento di stasera. Non semplicemente una “commemorazione”, ripetono subito gli organizzatori, piuttosto, “un incontro-condivisione sul ministero di don Nino Franco”. E’ il bisogno di dirsi quanto quest’uomo – negli ultimi anni sparito dalla vista dei più perché ritiratosi a vivere a Randazzo, suo paese natale – sia stato, riprendendo la citazione di Bonhoeffer, un “cantus firmus” nella vita di tanti. Dei suoi carusi della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) innanzi tutto.
Sono proprio loro, i suoi ex fucini, oggi padri e madri di figli già grandi, battezzati spesso dallo stesso don Nino, ad avere fortemente voluto questo momento.
Occasione in cui s’intrecciano memorie, rimpianto, gratitudine ed anche sorrisi, pensando agli aspetti più “coloriti” di questo prete randazzese. Un uomo di Chiesa che aveva fatto, di Milano prima e poi di Parigi, le città della sua anima, della sua formazione umana e culturale.
Parigi era rimasta nel cuore di don Nino Franco
Rientrato definitivamente in diocesi, nella capitale francese ritornava molto spesso, quasi per andare a fare rifornimento di quella energia vitale che sicuramente non riusciva a trovare sul territorio nostrano.
Formatosi all’Università Cattolica di Milano, era cresciuto confrontandosi con personalità ricche e preziose dell’ateneo milanese, la cui lezione aveva ben assimilato. La fede in Gesù di Nazaret non può esimersi dall’essere una fede “pensata”. Una fede sempre in ricerca ed in dialogo con la cultura dell’uomo, quella passata e quella contemporanea.
“Credere pensando e pensare credendo” era la consegna ricevuta da un altro prete acese, padre Giuseppe Cristaldi, che aveva accompagnato don Nino negli studi giovanili a Milano. Da queste relazioni, come da quella fondamentale con la persona e l’opera di padre Marie-Dominique Chenu, il teologo del Concilio Vaticano II, al cui studio don Nino ha dedicato tutta la vita, aveva maturato la visione di un orizzonte largo, che abbracciava la complessità del momento presente, e sentiva l’urgenza di risposte “nuove” agli appelli della storia, che davvero potessero raggiungere le persone in cerca di un senso profondo della vita, dei giovani soprattutto.
Tutto questo emerge chiaramente dalle testimonianze di chi si succede stasera al microfono. O che interviene, grazie al collegamento on line, da diverse città italiane ed estere. Spesso con la commozione che alla fine spezza la voce.
Come Silvie, quasi portavoce degli amici francesi, arrivata qui da Parigi proprio per questo incontro. E racconta di un don Nino attento, disponibile, amico fraterno, profondo conoscitore ed estimatore della Parigi medievale. Ma anche consigliere saggio, “padre spirituale”, guida nel cammino della fede e della vita quotidiana.
Don Nino Franco: i ricordi da condividere
Parla il collega teologo, prof. don Maurizio Aliotta, parlano i colleghi di scuola, le amiche e gli amici di vecchia data, chi lo ricorda assistente della Fuci o professore a scuola. E poi, tirandolo fuori come un tesoro prezioso, si condivide qualche autografo di padre Franco: una dedica ricevuta, una lettera di auguri, un breve scritto. Risentiamo le sue parole profonde, i riferimenti a quei maestri di umanità e di fede che lui citava sempre. Che faceva leggere e studiare ai suoi fucini, e di cui, fra una testimonianza e l’altra, viene letto qualche stralcio. Cioè la Lettera a Diogneto, le citazioni di Dietrich Bonhoeffer e Père Chenu.
Don Nino aveva una profonda culturale filosofica e teologica. Insegnante per molti anni allo Studio Teologico di Catania, è stato preside dell’Istituto diocesano di Scienze Religiose “Sant’ Agostino. Ma mi piace qui ricordare l’esperienza pastorale, discreta e preziosa, fatta dialogando con gli alunni del liceo classico “Gulli e Pennisi” di Acireale.
Come professore di religione, aveva imparato a captare, gradualmente e non senza fatica, il bisogno di autenticità dei ragazzi che incontrava sui banchi. Giovani in maggioranza non frequentanti i locali parrocchiali. E a volte anche in aperto contrasto con l’istituzione ecclesiastica, avvertita come lontana dalle loro esigenze e incapace di esercitare su di loro una qualunque attrattiva.
Così era nato un dialogo con molti ragazzi, a cui aveva fatto l’invito di “raccontarsi” o di esprimere per iscritto quanto sentivano, su un quaderno strettamente personale. Quaderno che lui leggeva, con calma e attenzione profonda, nel silenzio della sua camera. E a cui rispondeva a sua volta sempre sul quaderno, come in un colloquio tra amici.
Pezzi di vita, paure, dubbi e desideri profondi hanno viaggiato sulle pagine di semplici quaderni, così come su leggeri fogli di carta hanno camminato riflessioni. L’invito a non lasciarsi risucchiare dalla superficialità imperante, a cogliere la bellezza della vita. A lasciarsi catturare dal fascino dell’Invisibile, a non mollare, a saper ricominciare. E poi la chiusa ricorrente delle sue chiacchierate con gli amici . “Ricordati che ti voglio bene”.
L’eredità di don Nino Franco
Che eredità ci lascia don Antonino Franco? L’amore per lo studio, per la ricerca filosofica e teologica. Lo sguardo attento alla realtà contemporanea, alle sue domande, alla sua sete di senso, di felicità ed in ultima analisi di Dio. Il sogno di una chiesa rinnovata, liberatasi da piccole tradizioni stantie e pronta a dialogare con tutti e ad annunciare, con coraggio, Gesù Cristo.
La capacità di un linguaggio schietto, che a volte può irritare, ma che punta a fare verità. La creatività e la disponibilità nel dialogare con i giovani, proprio con quelli meno “clericalizzati”, ma che sanno farsi domande serie, e non solo cercare risposte a buon mercato.
Ti vogliamo bene, don Nino, molto. Oggi, qui, festeggiamo il 50° anniversario della tua ordinazione presbiterale. Ti vogliamo bene perché tra noi sei stato un uomo autentico, con i tuoi limiti ed i tuoi difetti. Alcuni molto evidenti e non sempre facili da digerire. Con l’incapacità ad adattarti ad un ambiente che ti definiva (come tu stesso dicevi) “curiusu”, cioè “strano” rispetto alla placida realtà sonnolenta di certi ambienti ecclesiali.
Ma tu sei stato sempre credente appassionato, innamorato di Cristo, inquieto ed in ricerca, sempre pronto ad offrire la tua schiettezza a chi t’invitava alla tavola della sua amicizia. Oltre che a quella ben apparecchiata della propria casa, a cui non disdegnavi sedere. Sicuramente, come tutti gli umani, anche tu sei stato abitato da qualche ferita profonda, forse fattasi più acuta in questi ultimi anni vissuti nella solitudine randazzese. Ma come è stato scritto, le ferite hanno un bellissimo destino, possono diventare feritoie attraverso le quali passa la luce.
Grazie perché, attraverso di te, quella Luce, nella quale ora vivi per sempre, ha raggiunto molti.
Barbara Sgroi