Ricordo / “Mio zio Gaetano Vagliasindi fucilato a Kos nell’ottobre del ‘43″

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Gaetano Vagliasindi

Al termine della cerimonia di consegna delle medaglie d’onore in memoria di alcuni nostri connazionali deportati ed internati nei lager nazisti, destinati al lavoro coatto per l’allora “economia di guerra”, abbiamo raccolto il commento di Maristella Dilettoso, una dei parenti del randazzese Gaetano Vagliasindi, uno degli insigniti.

Alla cerimonia svoltasi nei giorni scorsi, organizzata dalla Prefettura di Catania in collaborazione con l’istituto “Angelo Musco”, che l’ha ospitata, hanno partecipato il prefetto Maria Carmela Librizzi,  e il dirigente scolastico del “Musco”, Mauro Mangano, ed il coinvolgimento di tutti gli studenti. Con l’orchestra ed il coro del Liceo musicale che hanno curato gli intermezzi musicali.

Gaetano Vagliasindi insignito di un’onorificenza al merito

È stato un momento di grande emozione e di grande soddisfazione. – Ci dice Maristella Dilettoso, pronipote del capitano Gaetano Vagliasindi, rimasto vittima, in maniera tragica e imprevedibile, alla fine della Seconda Guerra mondiale, il 6 ottobre 1943 a Kos, isola del Dodecaneso, nel mare Egeo, in Grecia. Emozione perché, pur non avendo conosciuto mio zio, sin da quando ero ragazzina ho sempre desiderato saperne di più su di lui, sulla vicenda sua e di tanti altri nostri eroi dimenticati.

Gaetano vagliasindi fucilato dai tedeschi
Gaetano Vagliasindi

Non mi bastavano le poche cose che avevo sentito di lui in famiglia. Peraltro sempre velate da un certo incomprensibile riserbo, una certa reticenza da parte dei “grandi”, ed un certo inspiegabile timore da parte di noi ragazzi.  Ad un certo punto ho voluto saperne di più ed ho cominciato a cercare notizie su questo “eroe dimenticato”, ricostruirne la storia cercando sui libri, sui giornali, sul web. Ho preso parte ad alcuni gruppi, ho avuto contatti con persone coinvolte a vario titolo. Mi sono anche recata al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari pur di cercarlo.

Un riconoscimento che dà soddisfazione

Soddisfazione, perché finalmente, dopo tantissimi anni di indifferenza, di oblio, anche da parte della sua stessa città, Randazzo, è oggi arrivato un riconoscimento da parte dello Stato italiano. Quello Stato al quale mio zio Gaetano aveva giurato fedeltà, e per il quale perse la vita nelle saline di Linopoti.

Per questioni semplicemente anagrafiche – ci racconta ancora l’ex direttrice della Biblioteca comunale di Randazzo, giornalista e scrittrice – io non l’ho personalmente conosciuto. Poiché quando avvennero i fatti non ero ancora nata. Ma lo vedevo tutti i giorni, in una fotografia in bianco e nero, un ingrandimento in cornice appoggiato su un canterano. Era il viso di un ragazzo dai capelli tagliati corti, ricci, dai lineamenti delicati e dall’aria triste, che indossava una divisa militare. Di questi ritratti in bianco e nero, di uomini in divisa, spesso molto giovani, erano popolate tante case, negli anni del Dopoguerra. Da noi ce ne erano tre.

Tutto cominciò dall’armistizio del ’43

“La storia di mio zio parte da Randazzo, ma – come accennavo – ha come coordinate spazio-temporali la Seconda Guerra Mondiale, l’armistizio dell’8 settembre 1943. Ed anche il conseguente dramma di tanti soldati italiani come lui che, a seguito delle decisioni prese dall’alto, vissero la nuova tragedia dello scontro con l’alleato di ieri, la Germania, della deportazione, della prigionia, ed il più delle volte della morte.

“Sappiamo che il 10 giugno 1940 l’Italia era entrata in guerra, accanto alla Germania di Hitler, contro Francia e Gran Bretagna. Ma nel 1943, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti e lo sbarco in Sicilia degli anglo-americani, vi fu una svolta decisiva. Svolta che culminò nell’armistizio dell’8 settembre. Questo non significò, però, l’immediata fine della guerra. Bensì l’inizio della Resistenza, della guerra civile, e di quella lunga strada che avrebbe portato l’Italia alla democrazia. Ma che pure portò la spietata reazione dei tedeschi, ex alleati dell’Italia, per i quali l’armistizio era visto come un tradimento, e gli italiani come dei nemici, anzi dei traditori. Da qui la tragedia di tante migliaia di soldati italiani che si trovavano in terra straniera, e che si erano illusi, invano, di poter tornare nella loro patria e nelle loro case.

“Gli Alleati divulgarono in anticipo la notizia dell’armistizio. E mentre il re ed il governo presieduto da Badoglio abbandonarono Roma, temendo le reazioni dei tedeschi, i più impreparati a fronteggiare gli eventi erano proprio gli italiani.

Gaetano Vagliasindi e altri ufficiali fucilati a Kos
Gaetano Vagliasindi ( quarto da sx) e altri ufficiali fucilati a Kos

Confusione e sbandamento

“Dobbiamo immaginare la confusione e lo sbandamento dei nostri soldati. Specie quelli che operavano nelle zone periferiche, dove le notizie giungevano tardi, e per giunta del tutto imprecise. Essi dall’oggi al domani si trovarono in una situazione ribaltata, con i nemici di ieri (come gli Inglesi) che adesso erano i nuovi alleati, e gli alleati di ieri (i Tedeschi) che adesso erano nemici, e per di più assetati di vendetta.

Nei Balcani, in Grecia e nell’Egeo le truppe italiane e tedesche erano frammischiate. E le nostre, inferiori numericamente, furono, in pratica, lasciate allo sbaraglio, al loro destino. Gli ordini centrali furono infatti così tardivi, così confusi e talmente contraddittori, che i militari italiani caddero nelle braccia dei tedeschi, pronti ad iniziare tutta una serie di rappresaglie, occupazioni, combattimenti, deportazioni in massa ed umiliazioni di ogni tipo.

“Così avvenne a Cefalonia, dove il 13 settembre 1943, subito dopo l’armistizio, i soldati italiani della divisione Acqui, al comando del generale Gandin, dopo essersi rifiutati di consegnare le armi ai tedeschi, iniziarono contro di loro un’eroica quanto vana resistenza. Questa  si concluse il 24 settembre con la fucilazione in massa presso la «casetta rossa». I superstiti, disarmati, furono imbarcati per essere avviati ai campi di concentramento su due navi che affondarono appena raggiunsero il largo, dopo aver urtato contro delle mine. Stessa cosa nella vicina isola di Corfù: il 25 l’isola era in mano ai tedeschi, gli ufficiali italiani vennero tutti uccisi.

La fucilazione di Gaetano Vagliasindi

A Rodi, subito dopo l’8 settembre, i Tedeschi occuparono gli aeroporti, fecero prigionieri gli ufficiali italiani, e cominciarono a bombardare le caserme. Mentre le comunicazioni venivano interrotte, e dall’Italia non arrivavano né notizie, né disposizioni, né tantomeno rinforzi. Si combatté con sorti alterne, con molte perdite di uomini, fino all’11 settembre. I soldati che resistettero furono uccisi, mentre, dopo la resa di Rodi, i tedeschi si spostarono verso le isole minori per continuarvi la guerra.

A Coo, la greca isola di Kos, vi era un ospedale, una Missione cattolica, molti civili italiani, e circa 4000 uomini, ufficiali e soldati semplici, al comando del colonnello Felice Leggio. Pochi i tedeschi: fino all’8 settembre l’isola era stata tranquilla, ma dall’11 settembre al 2 ottobre vi furono 30 attacchi aerei. Il 3 ottobre arrivarono anche i mezzi navali.

Gli Inglesi, che erano sbarcati precedentemente, si defilarono e così gli italiani dovettero rassegnarsi alla resa. Fatti prigionieri, i soldati sarebbero stati inviati in Germania, mentre gli ufficiali, ritenuti diretti responsabili delle scelte, furono accompagnati alle saline di Linopoti il 5 ottobre, interrogati sommariamente ed avviati verso il porto – per imbarcarli, e mandarli ai campi di prigionia, fu detto loro – ma lungo il percorso furono mitragliati alle spalle, e gettati in fosse comuni.
Fra questi – conclude con tanta amarezza Maristella Dilettoso – vi era proprio mio zio Gaetano Vagliasindi ed altri ufficiali con lui qui nella foto (vedi sopra) scattata qualche settimana prima”.

                   

                                                                                                           Giuseppe Portale