Come già avvenuto in occasione dell’elezione di Giovanni Battista Montini, il 21 giugno del 1963, anche al momento della scelta del successore del Beato Papa Paolo VI, il Sacro Collegio Cardinalizio, riunito sotto la artistica e mirabile visione architettonica della Cappella Sistina, dopo aver esaminato i caratteri fondamentali della personalità del futuro Pontefice, convenne di indirizzare il consenso su un Pastore dotato dell’autorevolezza e dello spirito di servizio capaci di far fruttificare la cultura innovatrice del Concilio Ecumenico e, allo stesso tempo, pure risoluto ad introdurre le grandi riforme strutturali che Papa Montini stesso aveva proposto insieme con tutti gli altri impegni organizzativi della Santa Sede.
Fu perciò con questo spirito, insieme attuativo e realizzativo delle deliberazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, che il Sacro Collegio si dispose ad eleggere, per la terza volta nell’arco del Secolo e cioè dopo S. Pio X e S. Giovanni XXIII, un nuovo Pastore, proveniente da Venezia, simbolo al tempo stesso del coraggio e dell’umiltà ma anche della profonda dedizione che aveva posto generosamente al servizio della Chiesa.
Era il perfetto profilo del Cardinale Albino Luciani, Patriarca di Venezia, il quale fin dalla nomina a Vescovo di Vittorio Veneto aveva esercitato il Magistero sacerdotale lasciandosi guidare dai doni, dai requisiti dell’umiltà, della carità e dello spirito di servizio verso gli ultimi, della fedeltà assoluta ai valori, agli ideali ed agli atti conclusivi del Concilio. Non per nulla, già il 21 agosto 1978 vi fu una prima indicazione dei porporati progressisti latino-americani che si espresse a favore di un Papa “sensibile ai problemi sociali, aperto al dialogo, rispettoso della collegialità dei vescovi, disposto a cercare una nuova soluzione per il controllo delle nascite, non in opposizione alla Humanae Vitae, bensì come il suo proseguimento”. [1]
Dopo le prime votazioni, il Conclave, nella sua collegialità, pensò proprio al Patriarca di Venezia, come ad un “Papa buono e santo, deciso nella difesa della dottrina,…necessità, dopo gli sbandamenti del post Concilio”.[2] Già alla terza votazione, Albino Luciani sfiorò l’elezione, avendo ottenuto circa settanta voti. Il quarto scrutinio elesse il Patriarca di Venezia, 263° Vescovo di Roma. Egli ottenne quasi un unanime consenso, cioè uno straordinario riconoscimento, forte di 101 voti su 111 votanti, e scelse di chiamarsi Giovanni Paolo I. Perché il nome dei due immediati predecessori?
“Di Papa Giovanni prese il nome per legarlo a quello dell’altro predecessore, Papa Paolo, per confermare che la Chiesa è sempre la stessa, quella che ha voluto Dio, non quella che vorrebbero gli uomini”.[3] Il nuovo Parroco del Mondo era dunque il Pastore degli umili e dei poveri: aveva venduto, nel 1976, alcuni pezzi antichi, di proprietà del Patriarcato di Venezia, per aiutare i bambini in difficoltà col ricavato, ma aveva anche messo all’asta due croci pettorali, con catene d’oro ed un anello, ricevute in dono dai due predecessori, dicendo che era poco – quanto al ricavato – ma era molto se poteva servire “a far capire che i veri tesori della Chiesa sono i poveri, i diseredati, i piccoli da aiutare”.[4] Tutto questo faceva parte della biografia essenziale di Papa Luciani e dell’umiltà, al servizio dei poveri e del Vangelo.
Nella cerimonia dell’incoronazione al Supremo Magistero, il 3 settembre del 1978, il nuovo Sommo Pontefice, si rivolse “molto cordialmente a tutti gli uomini del mondo”, conferendo così alla cerimonia dell’investitura al Pontificato la stessa semplicità che aveva collocato al Patriarcato di Venezia: l’abrogazione del “triregno”, della sedia gestatoria, del pluralia maiestatis; mentre rimanevano soltanto il pallio, la stola e le parole solenni. Erano i segni esterni di Papa Luciani, che intendeva proseguire pertanto lungo quella stessa opera di rinnovamento e di apertura, che già era stata intrapresa da Papa Roncalli e continuata poi da Papa Montini.
Già, il giorno successivo a quello dell’elezione, domenica 27 agosto del 1978, Papa Giovanni Paolo I, in occasione del primo messaggio introduttivo da nuovo vescovo di Roma, cioè il Prologo del Ministero Petrino, lasciò chiaramente intendere le linee direttive del servizio di Pastore della Chiesa universale: la consapevolezza che la forza spirituale della Chiesa fosse garanzia di pace e di ordine. (“Noi ci poniamo…al servizio della missione universale della Chiesa…al servizio del mondo: cioè al servizio della verità, della giustizia, della pace, della concordia, della collaborazione all’interno delle Nazioni come nei rapporti fra i popoli”). Ma Papa Luciani metteva anche in guardia – con un appropriato ammonimento – dalle terribili conseguenze di un eccesso di umanizzazione del mondo, di un mondo cioè che fosse divenuto superbo, arrogante per le conquiste della scienza e della tecnica, pronto a seguire “la tentazione di sostituirsi a Dio con l’autonoma decisione che prescinde dalle leggi morali” e che “porta l’uomo al rischio di ridurre la Terra ad un deserto, la persona ad un automa, la convivenza fraterna ad una collettivizzazione pianificata, introducendo la morte, là dove invece Dio vuole la vita”. Solo la Carità – gridò con evidenti forza e convinzione il Sommo Pontefice Albino Luciani – può salvare la vita sulla Terra, perché solo la Carità da sola è in grado di servire “il mondo, assetato di vita e d’amore, dalle minacce che lo sovrastano; il Vangelo chiama tutti i suoi figli a porre le proprie forze, e la stessa vita, al servizio dei fratelli, nel nome della Carità di Cristo…”.
Il pensiero di Giovanni Paolo I mostrava un indefettibile impegno nel mantenere ferma la direttiva dei suoi predecessori, S. Papa Giovanni XXIII ed il Beato Papa Paolo VI, ed anzi nello svilupparla ancora di più, non solo come segno di omaggio e gratitudine, ma anche come convincimento che il Concilio non potesse che imporre alla Chiesa alcune fondamentali iniziative in materia di riforme nel settore del diritto canonico, nel rafforzamento del messaggio della salvezza, con l’evangelizzazione, ed attraverso un ingente sforzo ecumenico, uno sforzo senza precedenti, rivolto ad ottenere l’unità di tutti i cristiani, “senza cedimenti dottrinali, ma anche senza esitazioni…”.
In questo fondamentale quadro che fu anche il prospetto riassuntivo delle linee strategiche del futuro Pontificato, Giovanni Paolo I collocò le iniziative che aveva in animo di promuovere, nella lotta contro la guerra e per debellare lo spettro della fame. Si trattava allora (e si tratta ancora oggi) di mettere insieme e far collaborare tutti, all’interno delle Nazioni, “contro la violenza cieca” e “nella vita internazionale…portare gli uomini alla mutua comprensione, alla congiunzione degli sforzi che favoriscano il progresso sociale, debellino la fame, l’ignoranza dello spirito, promuovano l’elevazione dei popoli meno dotati di beni di fortuna, eppur ricchi di energie e di volontà”. C’è la perfetta identità di vedute con le Encicliche giovannee e paoline e pure con le forti riflessioni pastorali di ampio respiro, nelle stesse contenute. Tutto questo vasto studio dottrinario promuove oggi Papa Luciani, non solo come Profeta dell’umiltà ma anche precisamente come profeta e simbolo della Carità.
L’ordine mondiale, prefigurato da Giovanni Paolo I, era un “ordine più giusto e più sincero, perché fondato sulla Pace, sulla Cooperazione, su un alto e rafforzato senso della giustizia, tra le persone, prima ancora che tra i popoli”. Il Papa guardava in primo luogo ai giovani, “strumento di un avvenire più pulito, più sano, più costruttivo”, poi alle famiglie, “santuario domestico della Chiesa”, quindi a tutti i sofferenti, agli ammalati, ai perseguitati, a quanti lottano per la vita, privi di lavoro, a quanti sono in costrizione per la fede cattolica, a quanti sono in ogni genere di difficoltà, a quanti “subiscono dolorose privazioni per le condizioni sociali e politiche” ed a causa della guerra e dei conflitti regionali, in Medio Oriente ed in altre parti del Globo.
Nel messaggio del 31 agosto del 1978, rivolgendo un indirizzo di saluto al corpo diplomatico, Papa Luciani tracciò, indicò la doppia funzione dell’attività della sfera di competenza, della S. Sede: la prima partecipativa, di contributo alla ricerca, a livello internazionale, “delle soluzioni migliori dei grandi problemi in cui sono in gioco la distensione, il disarmo, la pace, la giustizia, i soccorsi umanitari, lo sviluppo…in cui la partecipazione della S. Sede si dimostri desiderata, fruttuosa e conforme ai mezzi nostri”, la seconda, “più specificatamente pastorale a formare le coscienze dei cristiani…ma anche degli uomini di buona volontà…sui principi fondamentali che garantiscono una civiltà vera ed una fratellanza reale tra i popoli: rispetto del prossimo, della vita, della dignità di esso, sollecitudine per il suo progresso spirituale e sociale, pazienza e volontà di riconciliazione nell’edificazione tanto vulnerabile della pace…”.
L’itinerario del futuro Servizio ecclesiale di Sommo Pastore della Chiesa Universale di Papa Giovanni Paolo I fu chiaramente tracciato da Albino Luciani, nel rigoroso rispetto del Concilio Ecumenico e delle Deliberazioni del Sacro Consesso, dei messaggi dei predecessori, e della Costituzione Apostolica Gaudium et Spes. Il Papa constatava, registrava una continuità della missione di Pietro che lo univa chiaramente alla attività apostolica dei predecessori, la missione salvifica della Chiesa, sia nell’augurio “che le terribili armi di guerra sono trasformate in strumenti di pace”, sia anche nella missione “per aiutare a creare un clima di giustizia, di fraternità, di solidarietà e di speranza, senza il quale il mondo non potrebbe vivere”. Le sue parole e la sua azione, quindi, nella Messa d’inaugurazione o d’inizio del Pontificato, riportavano direttamente e chiaramente, all’epoca dei due Giovanni, al modo di esprimersi, diretto ed immediato, di Papa Roncalli e del grande Presidente americano John F. Kennedy.
Ancora, chiari riferimenti, all’epoca dei due Giovanni, vennero contenuti nella allocuzione del 4 settembre del 1978, indirizzata alle missioni speciali e sempre nell’occasione dell’inaugurazione del Pontificato, a mezzo della quale il Santo Padre si augurò che le Nazioni trovassero ciascuna il “proprio posto nel contesto” internazionale, “nella pace e mediante la comprensione e la solidarietà reciproche”, e “nello spirito della carità universale e dell’apertura ai valori trascendenti, vale a dire, l’apertura a Dio”, con l’unica aspirazione della Santa Sede di “servire la comunità internazionale, di ricordare le esigenze di una convivenza sana, di difendere i diritti e la dignità di tutti gli uomini, dei deboli e delle minoranze” tutti compresi nell’impegno primario del Pontificato di Papa Giovanni Paolo I. Un Pontificato dotato di Potere e Servizio, che doveva così ascoltare in silenzio ma che doveva all’occorrenza anche intervenire con l’esercizio dell’Autorità. Il concetto dell’esercizio del Ministero fu felicemente sintetizzato dallo stesso Sommo Pontefice, nel corso dell’allocuzione del 7 settembre 1978 al Clero Romano, con la significativa esposizione nella quale sottolineò che “il pastore deve farsi amare, per farsi ascoltare, non cercare l’affetto per utile proprio”.
Su questo preciso indirizzo spirituale del Ministero, il Pontefice impostò con efficacia e perfezionò sotto ogni profilo, anche il meno evidente, la questione sociale dell’aiuto ai Poveri del Mondo. Di enorme interesse, culturale, sociale, pedagogico e storico, è pertanto oggi, quanto il Vescovo di Roma espose al Sindaco della Capitale, all’epoca il Prof. Giulio Carlo Argan, nella sua qualità di Primo Cittadino di una Grande Comunità cioè di un vasto agglomerato di popoli e persone. La conoscenza diretta della città capitale d’Italia e dei problemi di Roma Capitale, offriva certo al Papa l’occasione per insistere “sulle energie e propositi, che devono ispirare iniziative e programmi…e mantenere fedele Roma a quegli ideali, inconfondibilmente cristiani, che si chiamano fame e sete di giustizia, attivo contributo alla pace, superiore dignità del lavoro umano, rispetto ed amore per i fratelli, solidarietà verso quelli più deboli”.
Su questi temi, in quella stessa giornata, 23 Settembre 1978, il Papa ritornò, con puntuale forza spirituale, domandandosi quale potesse essere il peccato più grave di tutti, quello che grida vendetta al cospetto di Dio – cioè il “peccato direttamente contrario al bene dell’umanità”. Il Santo Padre lo colse e lo individuò e lo indicò a tutti, inequivocabilmente, nell’oppressione verso i poveri e nella sottrazione della giusta paga agli operai. In quella stessa omelia, per la “presa di possesso” della Basilica Lateranense, Giovanni Paolo I diede molto spazio alla principale e più importante questione che qualificava la Chiesa missionaria, l’amore ai poveri, l’aiuto ai poveri, “che non devono essere offesi ed umiliati, con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili, e non investito in imprese di comune vantaggio”.
Le imprese di vantaggio collettivo sono quelle che conferiscono la dimensione e lo spazio per l’intervento ecclesiale in investimenti economici, come quelli evidenziati nella grande Enciclica Paolina, Populorum Progressio, ovvero presi in esame nei veri grandi programmi – obiettivo di John F. Kennedy, come l’Alleanza per il Progresso ed il Food for Peace.
È interessante notare la perfetta armonia del pensiero, del ragionamento papale: Albino Luciani non mette in discussione, in alcuna parte, l’essenza della dottrina sociale della Chiesa, uscita perfezionata, attraverso la Grande Enciclica paolina, Populorum Progressio e la Costituzione conciliare, Gaudium et Spes; la fondamentale specificazione del Santo Padre è quella di voler sottolineare che ogni aiuto ai deboli ed ai bisognosi (e tutto quello che la Chiesa opera, nell’ambito della carità pastorale contro la povertà, per la giustizia, la pace, i diritti dell’uomo, la liberazione sociale ed economica) deve essere in funzione “della piena realizzazione del Regno di Dio”, perché è “il Salvatore la chiave del destino di tutta l’umanità”. Papa Giovanni Paolo I lo affermò chiaramente nell’ultimo messaggio del Pontificato e della sua vita, il 28 Settembre 1978, e lo affermò con parole che oggi sembrano profetiche, quasi il suo testamento spirituale all’umanità intera, ma a ben vedere le medesime riflessioni, il Papa le aveva esposte anche nel corso dell’udienza infrasettimanale del 20 Settembre 1978: il Magistero della Chiesa pronto a contribuire alla soluzione dei grandi problemi sociali del nostro tempo, ma “è errato affermare che la liberazione politica, economica e sociale coincide con la salvezza in Gesù Cristo, che il Regnum Dei si identifica con il Regnum Hominis…”, perché l’amore verso i fratelli è un riflesso dell’amore verso Dio, l’amore verso il proprio fratello non può essere separato dall’amore verso Dio.
Papa Giovanni Paolo I fu solito – in quell’unico mese di settembre in cui si sviluppò l’intero Pontificato – vivificare l’attenzione dei fedeli che accorrevano numerosi alle udienze del Mercoledì, con esposizioni aneddotiche, con osservazioni realistiche, con citazioni letterarie, sempre improntate a spirito sinceramente arguto, efficace e colto. Fu solito impersonare il Padre bonario, che esponeva complesse Verità di Fede, in modo semplice e lineare, catturando l’attrazione dell’uditorio con l’evidente incremento partecipativo alle omelie. Nell’allocuzione del 20 Settembre 1978, il Papa fu profondamente Pastore, allorché, ricordando e facendo appello al dono della Pace, espresse il convincimento che essa “si realizzi…sperimentata profondamente dalla coscienza” alimentandosi di “una concezione fondamentalmente spirituale dell’umanità”. Queste riflessioni dottrinarie collocarono il pensiero papale lungo il medesimo sentiero, spirituale e profetico, di S. Papa Giovanni e del Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy.
Anche nell’omelia del 6 settembre del 1978, Papa Luciani si riferì indirettamente alle trattative di pace, in corso all’epoca a Camp David, tra gli egiziani e gli israeliani, con la mediazione del Presidente degli Stati Uniti, Jmmy Carter, per una composizione giusta e completa, della vertenza medio-orientale, giusta, cioè “con soddisfazione di tutte le parti in conflitto, e completa, cioè senza lasciare irrisolta alcuna questione…” e questo richiedeva, allora come oggi governanti “lungimiranti e coraggiosi”, per usare le stesse parole di Papa Luciani.
Come poi abbiamo visto, dallo sviluppo degli avvenimenti, la pace fu effettivamente raggiunta, ma fu solo parziale e non poté appagare del tutto i voti e le fervide preghiere, elevate da Papa Luciani. Il Santo Padre non ebbe il tempo necessario per la pubblicazione delle sue Encicliche, alle quali – al momento della scomparsa pure stava lavorando – ma ha lasciato ugualmente un eminente profilo di sé stesso, Pontefice e Pastore, profondamente umile e devoto, esclusivamente votato alla carità ed all’amore verso Dio ed i fratelli, qualità che lo pongono d’ufficio oggi al vertice dei Grandi Pastori della Chiesa.
Il Pontificato di Papa Luciani durò peraltro lo spazio di un tempo brevissimo, appena 33 giorni, dal 26 Agosto al 28 Settembre 1978, dato che tra l’attonito stupore e la generale e diffusa incredulità, presto trasformati però in profondo dolore, costernazione evidente e travolgenti emozione e commozione, il Vaticano diramò alle 5,30 del mattino del 29 Settembre 1978, l’essenziale, drammatica e ferale comunicazione che il Sommo Pontefice ci aveva lasciato così senza il minimo preavviso. Gli organi d’informazione inizialmente prestarono scarso credito alla notizia data in tali circostanze, sia per il brevissimo tempo trascorso dal mese precedente in cui il Beato Papa Paolo VI aveva lasciato la vita terrena, sia perché – come dichiarato dai parenti più stretti di Papa Luciani e soprattutto dal dottor Antonio Da Ros, il quale era stato in precedenza e continuò poi ad esserlo anche in Vaticano, il medico personale del Santo Padre – in effetti Giovanni Paolo I godeva di un buono stato di salute generale e non risultava fosse sofferente per alcuna particolare malattia, almeno tale da far pensare ad una improvvisa ed immediata scomparsa del supremo Pastore della Chiesa universale, senza avere avuto neppure la minima possibilità di avvertire i collaboratori per il malore e per l’improvviso arresto cardio-circolatorio che si dimostrò, al momento concreto, impossibile alla prestazione di qualsiasi soccorso.
Senza ovviamente voler assolutamente prestare per tal motivo una qualche fede a tutta quella letteratura che pure è fiorita successivamente e che ha adombrato, circondando di sospetti (molti) e di circostanze concrete (poche), la repentina cessazione della vita di Albino Luciani, tutti quelli che restano fedeli alla memoria del Papa dal grande sorriso, più mostrato da Dio che concretamente dato in pratica agli uomini, continuano ad interrogarsi oggi su alcune incongruenze circa le circostanze del doloroso avvenimento così assolutamente inatteso, che nulla lasciava presagire od immaginare. Il Vaticano (nel caso specifico la Segreteria di Stato, la quale gestì il passaggio dei poteri, subito dopo che Albino Luciani venne a mancare, ed assunse appunto le funzioni vicarie) non chiarì forse in effetti esaurientemente l’ora presumibile in cui era venuto a mancare il Santo Padre e neppure probabilmente agì perché venisse predisposto un esauriente esame necroscopico che, in assenza dell’autopsia, pure chiesta da una parte consistente del Collegio Cardinalizio, avrebbe potuto chiarire meglio il passaggio tra il 28 ed il 29 settembre in cui la morte del Papa si concretizzò. Pertanto il tristissimo evento, rimane tuttora contornato dal riserbo.
La personalità e la contemporanea impronta che Papa Luciani ha impresso comunque nella storia della Chiesa, di analogo spessore storico a quelle dei predecessori lasciano entrambe auspicare che le zone d’ombra, ancora oggi sussistenti certamente, siano un po’ illuminate di quella stessa luce che il Sommo Pontefice ha trasmesso in eredità all’umanità intera, insieme con le riconosciute sue virtù della bontà, della carità e dell’umiltà. E proprio quelle virtù consacrano Papa Giovanni Paolo I, immagine stessa della Santità, e questa immagine resta oggi scolpita nel generale e comune convincimento.
Sebastiano Catalano
[1] A. Tornielli, A. Zangrando, Papa Luciani, il sorriso del santo, PIEMME, 2003, pag. 100.
[2] A. Tornielli, A. Zangrando, op. cit., pag. 105.
[3] F. Chiocci, Il Tempo, 27 Agosto 1978, pag. 3.
[4] F. Chiocci, op. cit., pag. 3.