Il 27 gennaio del 1922, moriva uno dei più grandi scrittori siciliani: a cent’anni dalla scomparsa di Giovanni Verga, voglio proporre una riflessione in chiave psicologica in senso relazionale simbolico e dei passaggi generazionali, su alcune delle sue opere in riferimento alla sua biografia. Freud sosteneva che i racconti sono come i delitti. Il problema non è tanto commetterli o scriverli ma, semmai, occultarne le tracce dentro il testo. Inevitabilmente, però, dal testo emergono indizi, impronte digitali ed affiorano le cicatrici. Forte di questo convincimento voglio celebrare i cent’anni della scomparsa di Verga mettendo in relazione la sua biografia con alcuni dei suoi scritti. Partendo dall’ipotesi che la storia familiare si svolge su una trama che ognuno dei partecipanti si impegna a narrare e alla quale ogni membro tende ad uniformarsi o a trasgredire.
Riflessione / Cent’anni dalla morte di Giovanni Verga
V. Cigoli, uno dei maggiori studiosi dei passaggi generazionali, scrive: “se esiste un vincolo generativo, nel senso che non ci è dato scegliere dove, quando, in che vicenda familiare e di che genere nascere, esiste anche un vincolo a decidere che fare della propria storia generazionale”. Essi, infatti, vengono contraddistinti dal trasmettere, tramandare e trasgredire. Trasmettere eredità, status e beni familiari, tramandare valori, miti, simboli, regole familiari è il compito delle generazioni precedenti.
Apprendere e rielaborare – trasgredire – i contenuti trasmessi e tramandati è quello delle generazioni successive in modo da costruire una propria identità da mettere a disposizione per tutte le generazioni che verranno. Trasgredire, quindi, è un processo particolarmente importante in funzione evolutiva. A restare rinchiusi all’interno delle prescrizioni generazionali, infatti, si rischia di fare la fine della capinera di Verga. Ella, per non aver trovato la forza di ribellarsi, è costretta a lasciarsi morire di fame e di sete.
Giovanni Verga / Trasgressione in Storia di una capinera
È proprio in “Storia di una capinera” che lo stesso autore mette in risalto che i “vinti”, ovvero coloro che non hanno la forza e la voglia di ribellarsi, hanno semplicemente accesso alla follia. Maria, la protagonista, per essere leale alla sua famiglia muore a seguito di una serie di disturbi mentali. La causa è legata al non aver potuto, a seguito degli interventi pressanti della sua famiglia di origine, coronare il suo sogno d’amore con Nino. È costretta ad osservare ogni sera, dal terrazzo del convento di clausura in cui è rinchiusa, la casa in cui il suo amato vive con la sorellastra Giuditta. Maria, da un lato, è gelosa, a causa del suo amore, di Nino e, dall’altro, invidia la sorellastra Giuditta a cui è toccata una sorte diversa dalla sua riuscendo a sposarsi, cosa che a lei era stata proibita.
Giovanni Verga / Riflessione sui sentimenti
In una intervista sui sentimenti, A. Carotenuto afferma che bisogna “capire se le cose possono essere cambiate e allora vanno cambiate. Se le cose non possono essere cambiate, allora bisogna piegarsi a questa realtà. Soltanto che io penso che invece è difficile capire quando una cosa può essere cambiata. Però la speranza di tutti noi dovrebbe essere proprio questa, cioè che le cose possono essere cambiate”. È sopra quella terrazza che Maria perde la speranza di poter cambiare un destino avverso. È sopra quella terrazza che rivive la primordiale angoscia nel porsi tante domande che non trovano risposte che di fatto la portano alla “follia”.
Sostiene, ancora Carotenuto, che “il sentimento, in fondo, permette a noi di avere quella che si chiama una “trasparenza del mondo”. Se noi vogliamo capire qualcosa, se vogliamo renderci conto di quello che succede nella nostra esistenza, sarà solo il sentimento a farcelo capire, sarà solo un amore violento, una passione, magari una gelosia, ma che ci apre degli enormi squarci sulla realtà”. Maria su quella terrazza scopre di essere totalmente invisibile nel momento in cui scopre di essere da sola a combattere una battaglia che aveva perso in partenza. Il generazionale di fatto l’aveva resa impotente.
Giovanni Verga / La roba
Come in tutte le opere di Verga sullo sfondo della scelta familiare c’è “la roba” ovvero il trasmettere l’eredità. “La trasmissione ereditaria dei beni e dello status è un caposaldo del famigliare. Trasmettere discendenza e trasmettere eredità di beni e status viaggiano accomunati e questa è la passione che coinvolge le famiglie” (V. Cigoli).
Maria è costretta ad entrare in un convento di clausura all’età di 7 anni sia per i disagi economici della famiglia d’origine, sia a causa della morte della madre seguita da un nuovo matrimonio del padre da cui nascono due figli. L’accesso alla eredità è un presupposto del patto familiare. La matrigna non accetta Maria poiché dovrebbe spartire la dote con una sua non-figlia. Non c’è spazio in queste trame familiari per i sentimenti. E’ proprio l’accesso al mondo dei sentimenti che porta alla follia. Ciò che può rompere questo circolo perverso è il trasgredire, il rielaborare in senso evolutivo le proprie origini, il riscrivere la trama generazionale. Marianna, l’amica fidata, alla fine della epidemia di colera, non fa ritorno in convento rinunciando ad essere consacrata suora di clausura.
Riflessione / Cent’anni dalla morte di Giovanni Verga: la roba
“La Roba” che tanta parte ha negli scritti di Verga ha una parte essenziale e trova i suoi riscontri all’interno della storia generazionale della sua famiglia di origine. E non solo “la roba” ma anche il contrasto tra quest’ultima è l’accesso al mondo dei sentimenti. Nella famiglia Verga “roba” e sentimenti sono incompatibili. Tant’è che suo nonno, malgrado fosse attratto dai movimenti rivoluzionari patriottici e garibaldini, nomina il figlio maggiore Salvatore (zio dello scrittore) erede universale nell’amministrazione del patrimonio familiare a patto che restasse celibe. La scelta del nonno, fatta in virtù della legge sul maggiorascato, comporta una serie di liti familiari che si ricompongono intorno al 1840, epoca in cui nasce lo stesso scrittore.
Verga / Sentimenti destino dei vinti
A dimostrazione di quanto fosse difficile e complicato l’accesso al mondo dei sentimenti, tre zie di Verga, definite dallo stesso scrittore “Le mummie”, restano zitelle. Egli stesso restò sempre scapolo e molti lo definirono anche impenitente anche se vi furono molte donne nella sua vita. Emblematica la sua relazione con la maestra fiorentina Giselda, moglie ripudiata del suo amico Mario Rapisardi. Conseguenza di una lettera infuocata di passione, intercettata da quest’ultimo, indirizzata dal Verga proprio alla moglie dell’amico. Nel momento in cui Giselda dopo vari anni, in cui i due continuano ad avere una relazione, ottiene l’annullamento del matrimonio e chiede al nostro autore di sposarsi lui oppone un secco no che di fatto interrompe il loro rapporto sentimentale.
D’altronde Verga nello stesso periodo intratteneva almeno due altre relazioni con la contessa milanese Paolina Stepper Greppini e con la contessa Dina Castellazzi. Malgrado molte furono le donne con cui ebbe relazioni e missive anche appassionate, egli stesso definì questi legami come “fuochi fatui”. L’accesso al mondo dei sentimenti è il destino dei “vinti” ovvero di coloro che vengono sconfitti dagli accadimenti della vita. Non è sicuramente un caso che il cuore principale dei suoi scritti viene riservato proprio a questa categoria. Di Storia di una capinera ho già detto, allo stesso modo mastro Don Gesualdo, nell’omonimo romanzo, vede il suo patrimonio, che si era conquistato con grande fatica e lavoro, dilapidato dal genero e muore da solo nel disprezzo totale della figlia e dello stesso genero.
*Psicologo Psicoterapeuta (fondatore del “Pronto soccorso psicologico”); Docente a.c. di Psicometria delle Neuroscienze cognitive presso l’Università degli Studi di Messina