“Immagina un capitano sulla sua nave nel momento in cui deve dare battaglia. Forse egli potrà dire: bisogna far questo o quello; ma se non è un capitano mediocre, nello stesso tempo si renderà conto che la nave, mentre egli non ha ancora deciso, avanza con la solita velocità… Così l’uomo, se dimentica di calcolare questa velocità, alla fine giunge un momento in cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non l’ha fatto…”.
Questa pagina lucidissima e attualissima, tratta dall’opera “Aut-Aut” del filosofo Soren Kierkegaard, anno 1843, che rappresenta indubbiamente un capolavoro del pensiero moderno, ci pone tutti davanti alle questioni di oggi: essere presenti nel mondo, nel paese in cui abitiamo, nelle nostre comunità e nei luoghi di lavoro, come capitani attenti e coraggiosi, con il dono della vita che si fa presenza, accompagnamento e profezia.
In questi anni, non abbiamo percepito la fragilità e la complessità del momento che stiamo vivendo. Abbiamo dato per scontato tantissime cose; abbiamo ancora sperato che la parte buona della società, i mondi, cosiddetti sani di essa, avessero ancora la forza di incidere, di resistere e, magari di costruire con coraggio santo e con uno spiraglio di luce maggiore, quella città posta sul monte, come ricorda Gesù nel Vangelo di Matteo al capitolo 5, versetto 14.
Un capitano vero che dia la rotta giusta
Così, invece, non è stato! Non si vede alcuna “città costruita sul monte”, o un modello di riferimento per future costruzioni. Navighiamo a vista e nessuno sa dove stiamo andando. Lo temiamo in cuor nostro ma non lo palesiamo ancora: siamo prigionieri di un modello di società dell’avere e non dell’essere che ci ha abbindolati, smidollati, sedotti e abbandonati! Una società sempre più liquida, secondo la felice intuizione del sociologo Sigmunt Bauman, che ha liquefatto tutto e tutti.
Ci dibattiamo continuamente tra buoni propositi, incontri e assemblee sempre più afone. Mentre la “nave avanza con la solita velocità”, come ricorda Kierkegaard, senza fare in concreto una vera scelta: indugiamo, aspettiamo augurandoci che accada qualcosa!
Nell’attesa che arrivi qualcosa di buono, siamo giunti invece davanti a un precipizio che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Siamo di fronte al pericolo concreto di una Terza Guerra Mondiale, dopo averla sperimentata a pezzettini, come da tempo sostiene Papa Francesco.
Riflettendo ancora sull’espressione di Kierkegard, mi sovvengono in mente due questioni centrali. La prima è legata all’esistenza o meno di veri capitani e la seconda riguarda la velocità di una nave che inesorabilmente avanza.
Un capitano vero è tale perché non dimentica di calcolare la velocità, mentre quello mediocre non lo fa. Dalla misurazione della velocità della nave e dalle scelte che egli dovrà prendere per guidarla al meglio, si possono riconoscere i veri capitani!
Non esiste quasi più il capitano vero!
Se non erro un ineludibile problema di oggi è l’assenza quasi totale, fatta una onesta, doverosa e provvidenziale eccezione, di capitani che siano tali. La nostra è l’epoca dei mediocri che popolano e spaziano per ogni dove, con grande spudoratezza, occupando tutti i posti possibili in tutti i ranghi della nostra società. E se non si fosse intromessa, quasi di soppiatto, quella maledettissima velocità, non saremmo stati qui a parlarne!
Già nel 1984, Italo Calvino, nelle sue Lezioni Americane, scritte per l’Università di Harvard ma che mai tenne, perché deceduto nel 1985, aveva dedicato proprio alla Rapidità una delle sue Lezioni, insieme a Leggerezza, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Coerenza.
Non soltanto Calvino, ma anche Galimberti e Baricco e molti altri hanno parlato e continuano a parlare di una crisi che sta attraversando le generazioni. La crisi non è giovanile, ma di tutti: è l’adulto, è l’uomo che è andato a fondo e non riesce più a ritornare a galla.
In ogni comunità occorre un gruppo di persone che guidino come un capitano vero. Attuando un progetto di cittadinanza attiva
Blaterare, sostenere percorsi alternativi, fare proposte senza pensare che è venuto il momento di essere noi stessi i primi facitori di ciò che abbiamo intuito, è come chiedere al vento di diventare pioggia. Urge, come in ogni paese anche piccolo che ha indubbiamente una storia da conservare e da trasmettere alle nuove generazioni, far nascere un gruppo di persone responsabili con un progetto di cittadinanza attiva. Che sia concreto con obiettivi da condividere insieme generosamente, dando il meglio di sé e riportando tutto all’essenziale.
Ad una data prefissata è fondamentale celebrare insieme le tappe raggiunte con una festa, comunicando a tutti ciò che si è realizzato nel frattempo. E da lì, ripartire, con nuovo slancio, per il raggiungimento del vero obiettivo finale. E’ vitale quindi il coinvolgimento di più persone.
Quando avremo sconfitto la sfiducia, il pessimismo e il disincanto che hanno preso il sopravvento dentro di noi, si sprigioneranno allora tutte quelle energie che erano sopite e di cui nessuno di noi aveva contezza!
Occorrono atti simbolici forti e collettivi di un grande rinsavimento comunitario, chiedendo subito scusa al presente e al futuro. Ma soprattutto restituendo alle nuove generazioni, ai nostri bei paesi un po’ del nostro tempo, delle nostre risorse, un supplemento d’animo. E soltanto Dio sa di quanto ne abbiamo bisogno tutti!
don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa