Riflessione / Domenica della Parola per l’unità dei fedeli

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Foto Sir/Marco Calvarese

Dobbiamo a Francesco, nostro Pastore, l’istituzione della Domenica della Parola. Secoli di ignoranza o addirittura di pesante rifiuto si sciolgono come neve al sole. Girolamo vi era arrivato ben 1600 anni fa. Noi solo da due anni, ovvero dopo il Vaticano II con la sua notevole svolta che ha imposto una revisione trasparente alla Verità e ci ha consentito di arrivare a questo giorno solenne.

Si ripeteva “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” ma poi tutto qui si fermava ad una ripetizione verbale che rischiava di risultare inconsistente.

Riflettere, soffermarsi, curvarsi sulla Parola ora è una postura a cui tutti i fedeli sono richiamati e devono apprendere nel silenzio e aprendosi all’ascolto, in solitudine e in comunità.
È lo stesso Gesù Risorto ad aprire la mente all’intelligenza della Scrittura ai due di Emmaus ancora, se non proprio ciechi, almeno ciecuzienti nello spirito e nella mente e impauriti.

Perché Francesco scelse la III domenica del Tempo ordinario?
Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida.

Foto Sir/Marco Calvarese

Noi cristiani, finalmente, dopo aver celebrato la Giornata per la conoscenza dell’Ebraismo, riconoscendo il grande e profondo legame con Israele, ci rivolgiamo a quel mistero che vogliamo affrettare: l’Unità.
Abbiamo necessità estrema di assaporare quell’aspetto che fu così caratteristico di Girolamo “l’affetto vivo e soave per la Scrittura”. Il lascito antico, polveroso e semi abbandonato, ora può risplendere e quindi diventare un invito che conserva la sua carica fruttuosa anche oggi per chi si lasci affascinare dallo scrutare la Parola, postura possibile per ogni credente che, però, richiede di diventare perno pulsante dell’esistenza.

Ciascuno a suo modo, sotto l’influsso dello Spirito, non solo può ma deve dedicarsi alla ricerca e al pensiero, deve lasciarsi plasmare da quell’agire della Parola che, se si vuole esprimere correttamente è performatore, cioè tocca, smuove, plasma e crea.

Quale dono del Padre che si rivela all’umanità, quale dono del Figlio che lo ha annunciato e si è fatto dono di Parola Incarnata perché potessimo rimanere in quell’ascolto vitale che si traduce in quell’affetto che, a sua volta, genera la diaconia della Parola.
Non significa un annuncio carico di altoparlanti e microfoni ma un annuncio di contagio per autentica empatia. La carica promanante da chi ne è diacono/a è tale che suscita in chi l’avvicini il profondo desiderio di emulazione, molla della nostra vita.
Diaconi e diacone del Risorto stesso, di Lui che ha spiegato e continua a spiegare e ci avvolge della sua Luce che ha trapassato il confine della morte e la ha vinta.
In questo momento, quale l’attuale, così carico di oscurità e di incertezza ecco una realtà che può, se lo vogliamo, trasportarci nella Luce imperitura, donarci certezza e salvezza.

Cristiana Dobner

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