In certe ore liete o tristi della nostra vita, obbedendo ad un forte e provvidenziale richiamo, quando si decide di prendere tra le mani qualche opera degli scrittori a noi molto cari, dinanzi alle parole pronunciate dalla bocca dei loro protagonisti, spesso, ci siamo sentiti trafiggere il cuore e nell’incanto di quel momento – quasi per miracolo – siamo risaliti in superficie a rivedere la luce.
In occasione del duecentesimo anniversario della nascita di Fedor Mikhailovich Dostoevskij, ho sentito l’intima esigenza di usare le parole della gratitudine del cuore per l’immensa eredità degli scritti che ci ha lasciato. Ma, soprattutto, per il dono travagliato della sua vita e per la maniera in cui l’ha saputo raccontare.
Per me che sono un cristiano, le parole che Dostoesvkij scrisse a Natalia Mikhailovna Fonvizin, dopo quattro anni di lavori forzati trascorsi in Siberia, hanno avuto sempre un effetto stupefacente. “In questi anni ho composto dentro di me un credo in cui tutto per me è chiaro e sacro. Questo credo è molto semplice, eccolo: credere che non c’è niente di più bello, di più profondo, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo”.
Dostoevskij e la grande bellezza
Parole semplici ma meravigliosamente chiare! A cui non posso non far seguire la menzione della celeberrima frase, elevatasi più che dalla sua penna, dal cuore sanguinante e gioioso dell’uomo della Santa Madre Russia: “la Bellezza salverà il mondo”.
E’ questa l’intima sua convinzione che il mondo non può essere salvato dalla forza. Ma da quella scintilla di bellezza che è Cristo e che esiste in ogni anima umana, perfino in quella che è caduta all’infimo grado.
Anche le belle frasi, però, ripetute all’infinito, come sta accadendo ultimamente, se non sono riportate nel giusto alveo dove sono nate, stancano, disorientano e si disintegrano in sè stesse.
Un museo che contenesse in sé le opere più sublimi dell’ingegno umano, da solo, non salverebbe il mondo, ma rimarrebbe un incantevole stereotipo. Da lì, invece, si può trarre lo spunto per partire, per nostalgia e per metanoia, alla ricerca della bellezza che è Gesù dei Vangeli, il “bel pastore”. E fare di noi dei cercatori della vita bella che conduce, per grazia, oltre alla realtà dei fatti alla realtà dell’anima.
E’ difficile scrivere su Dostoevskij, perché si corre il rischio di far credere di essere degli specialisti, mentre in realtà, non lo si è; ed io, sicuramente, non lo sono affatto.
Appartengo a coloro i quali non sono stati in grado di scalare, sino alla cima, tutta l’elevata montagna dell’immenso patrimonio dello scrittore russo. Confesso che con tanta buona volontà, mi sono imposto di leggere alcuni dei suoi capolavori. E superare, infine, quella ritrosia che sin dalle prime pagine si avventa sugli inesperti lettori. Tuttavia, quando scavalcata, posso assicurare che è sicuramente piacevole cogliere i frutti dei suoi scritti e da rimanerne grati per tutta la vita.
Dostoevskij ispirò sentimenti contrastanti
In verità Dostoevskij non è solamente un autore di grandi romanzi, un letterato dotato di talento e d’intelligenza. C’è in lui qualcosa di più grande ed è proprio questo “di più” che rende peculiare l’uomo Fedor Mikhajlovic. A tal punto che lo si può amare incondizionatamente ma alla stessa maniera e con altrettanta convinzione lo si può combattere come portatore di proclami falsi e perniciosi.
Già Lev Tolstoj, altro gigante della letteratura russa, così si esprimeva in una lettera indirizzata all’amico Strackov per la morte di Fedor: “…Io non ho mai visto quest’uomo e mai ho avuto con lui rapporti diretti, e ora che egli è morto, ho capito di colpo che lui era la persona a me vicina, diletta e necessaria…. E ora, all’improvviso, leggo ch’egli è morto. È come se mi fosse venuto a mancare un punto d’appoggio, non so quale. Mi sono sentito perduto, e poi ho avvertito chiaramente fino a che punto egli mi era caro, e ho pianto e piango anche adesso …”. E in un’altra lettera precedente, scrisse ancora: “Se doveste incontrare Dostoevskij, ditegli che io lo amo”.
Le affinità tra Dostoevskij e Solov’ev
Ma chi di più e meglio di Vladimir Sergeevic Solov’ëv potrebbe, in modo avvincente e profondo, presentare il genio di Dostoevskij?
Tra Solov’ëv e Dostoevskij correvano vincoli di intima amicizia, di vivissimi interscambi d’anima e di pensiero, seppur fossero distanti a livello generazionale. Esistevano infatti tra loro ben trentadue anni di differenza.
“Entrambi – si legge nel libro Stili Laicali di Balthasar – fanno insieme il pellegrinaggio a Optima Pustyn (giugno 1878) e al suo famoso starec Ambrosius, entrambi restano egualmente molto impressionati, lo starec diventa il modello per il zosima, e Solov’ëv, “il monaco nel mondo”, quello per l’Alëša dei Karamazov”.
Solov’ëv visse la sua idea di cristianesimo pratico fino alla follia, era quasi sempre senza soldi, tutti potevano abusare di lui. A chiunque mendicava dava l’intero contenuto delle sue tasche e, quando queste erano vuote, regalava anche il mantello, tanto che, spesso d’inverno, erano gli amici a prestargli il vestiario. Persino gli animali lo amavano, stormi di uccelli assediavano la sua camera d’albergo in cerca di qualche briciola di cibo. Morì a quarantasette anni, consunto da superlavoro e da un astratto nomadismo.
Come non scorgere in questa descrizione la figura di Giorgio La Pira l’indimenticabile folle di Dio che si spense a Firenze nel 1977? Nella storia e nella vita ci sono sorprendenti coincidenze e richiami!
Quale idea ispirò l’opera di Dostoevskij?
Lo straordinario rapporto di amicizia, ed il generativo legame intellettuale tra il discepolo Solov’ëv e il maestro Dostoevskij è ancora più chiaro nei tre grandi discorsi che il discepolo scrive in sua memoria tra il 1881 e il 1883.
In questi discorsi, non vi fu l’intenzione di presentare la vicenda personale e terrena del maestro, né di disquisire autorevolmente sulle opere letterarie di Fedor. La sola questione che sta a cuore a Solov’ëv è quella di rispondere ad una centrale domanda. “Qual è il servizio reso da Dostoevskij, ovvero da quale idea fu ispirata la sua opera?”
Interessante e impegnativa, non poco, come domanda! Dostoevskij dal bagno penale riportò la luminosa visione dell’uomo moralmente rinato a vita nuova. “Più fede, più unità, e se vi si aggiunge l’amore, è fatto tutto” scrisse. Questa forza morale fece di lui principalmente un testimone e non solamente un ispiratore di pensiero.
Come tale siamo chiamati a seguirlo per quella strada verso la quale s’incamminò egli stesso; cioè verso un cristianesimo che non fosse quasi domestico, soltanto per la salvezza dell’anima di ogni singolo uomo. Se l’ideale non può ridursi a un cristianesimo privatistico o soltanto ristretto al culto, esso dev’essere “ecumenico”. Deve diffondersi su tutta l’umanità e su tutte le attività umane.
È giunto, infatti, il tempo per un ecumenismo più ampio, per una più audace ricerca di Dio in tutte le cose. E se Cristo è realmente, secondo Dostoevskij, l’incarnazione della verità, Egli non deve, dunque restare soltanto una effigie chiesastica, né un ideale personale di pochi eletti. Ma come pietra angolare di ogni costruzione in questo mondo.
E’ in Gesù la grande bellezza
Essendo un uomo religioso, profondamente convinto, egli fu nello stesso tempo un pensatore pienamente libero e un artista potente. Quella bellezza che salverà il mondo è la certezza che in Gesù sono presenti tutti i tesori di cui l’umanità intera ha bisogno. Più di chiunque altro Dostoesvkij acquisì armonicamente in sé l’ideale di essere ad un tempo un mistico, un umanista e un naturista. Su questo ideale si fonda la rinascita integrale, non più del singolo individuo isolato, fosse anche Fedor Mikhailovic Dostoevskij, ma dell’intera società e del popolo tutto.
“Come ai tempi antichi”, scrisse Solov’ëv, alla fine del terzo discorso del 1883, “un simile ideale sfugge ai maestri d’Israele, ma in esso sta la verità. Ed esso vincerà il mondo”.
Questo duecentesimo anniversario della nascita di Fedor ci renderà più solidali tra di noi, meno arroganti e più attenti a trovare la grande bellezza?
Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa