Tre croci sulla sommità dei ventidue gradoni del sacrario di Redipuglia; tre croci sulla sommità del monte Calvario, in quel venerdì santo in cui tutto è compiuto. La croce: un patibolo di condanna che Cristo ha trasformato nella condanna del patibolo, come scrive il cardinale Angelo Comastri. Festa nella quale, esaltando la Croce, non possiamo dimenticare che non celebriamo uno strumento di morte, un legno di sofferenza, tortura, esecuzione capitale, ma celebriamo colui che su quel legno ha sconfitto la morte facendo diventare la croce segno di un amore vissuto fino all’estremo, per la salvezza di tutti anche dei suoi carnefici. La croce ci ricorda le tante croci che ancora oggi il mondo vive; tanti sono nella storia i crocifissi, uccisi perché appartenenti a un altro popolo, ad un’altra razza; uccisi da ideologie e tiranni; uccisi perché professano una fede diversa. “Mentre contempliamo e celebriamo la santa Croce”, ha affermato Papa Francesco all’Angelus, nel giorno in cui in san Pietro ha unito in matrimonio venti coppie della diocesi di Roma, “pensiamo con commozione a tanti nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati e uccisi a causa della loro fedeltà a Cristo. Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che in linea di principio tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove concretamente i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni”. Poi le croci della follia della guerra, come l’ha definita il Papa sabato 13 settembre al sacrario militare di Redipuglia, memoria dei milioni di morti di quell’inutile strage, per Papa Benedetto XV, che è stata la prima guerra mondiale. “Là ho pregato per i morti a causa della Grande Guerra. I numeri sono spaventosi: si parla di circa 8 milioni di giovani soldati caduti e di circa 7 milioni di persone civili. Questo ci fa capire quanto la guerra sia una pazzia! Una pazzia dalla quale l’umanità non ha ancora imparato la lezione, perché dopo di essa ce n’è stata una seconda mondiale e tante altre che ancora oggi sono in corso.” Guardare alla Croce di Cristo significa vedere non un condannato sofferente e impotente, un fallito, ma chi nel fallimento, secondo la logica umana, ha mostrato “tutta la mite onnipotenza della misericordia di Dio”, “la gloria, il peso che Dio ha nella sua vita”. Aggiunge Papa Francesco: “proprio perché era il Figlio di Dio Gesù stava lì, sulla croce, fedele fino alla fine al disegno d’amore del Padre. E proprio per questo Dio ha ‘esaltato’ Gesù, conferendogli una regalità universale. E quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell’amore, dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero”. Così “l’odio e il male vengono sconfitti con il perdono e il bene” e “la risposta della guerra fa solo aumentare il male e la morte”. Forse è proprio per far meglio comprendere questa verità che la chiesa ha voluto che la festa della esaltazione della croce non coincidesse con il venerdì santo. Una festa che fa memoria della dedicazione a Gerusalemme della basilica del Santo Sepolcro, restaurata da Costantino – siamo nell’anno 335, il 14 settembre – e del ritrovamento della croce per opera della madre di Costantino, Sant’Elena, e che cattolici e ortodossi celebrano ancora oggi proprio il 14 settembre. Da quella croce, quasi “necessità” in un mondo ingiusto in cui l’innocente, l’uomo giusto, finisce per essere rifiutato e condannato a morte, “scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero”. Per mezzo della Croce, ricorda Francesco, “è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza”. La Croce di Gesù “è la nostra unica vera speranza. Ecco perché la Chiesa ‘esalta’ la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce”. Nella croce Gesù ha interrotto la catena dell’odio, della violenza, della vendetta.
FABIO ZAVATTARO