Un amico, restauratore ed entusiasta del suo lavoro, mi ha mandato delle foto circa il ritrovamento, in una casa privata, di affreschi che erano stati coperti da un intonaco bianco. Il ritrovamento era accompagnato da una frase che destava lo stupore della scoperta, tipico di chi ama il proprio lavoro: “E’ una meraviglia”. Lì per lì, non sapendo cosa rispondere, scrissi, in maniera frettolosa, come risposta “chi cerca trova”.
Successivamente, guardando con attenzione le foto, mi sono venute in mente le parole che Jawè dice ad Eliseo, circa la scelta del Re Davide: «Non guardare al suo aspetto … io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1 Sam 16, 8-9).
Oltre l’apparenza
Chissà, fra me e me, pensavo quante persone avevano ammirato quella volta senza pensare minimamente che sotto ci fossero dei dipinti. Così è nella nostra vita e nella relazione con gli altri. Molte volte ci soffermiamo sull’apparenza senza scavare nella profondità di ognuno, e magari, in maniera frettolosa e ingiusta, proferiamo dei giudizi poco lusinghieri.
Bisogna puntare al cuore, a ciò che è nascosto, e al pari di quella mano delicata che scrosta l’intonaco, siamo chiamati a far emergere quanto di buono, di bello e di vero, ogni uomo possiede. E’ un lavoro che richiede pazienza, tempo e tenacia, delicatezza d’animo, sensibilità, empatia. E quant’altro risulta essere necessario, perché ognuno possa esprimere e far emergere il meglio di sé.
C’è un motivo perché gli affreschi furono coperti dall’intonaco? Non lo sappiamo. Così come non riusciamo a comprendere, se non camminiamo al fianco degli altri, perché ci si costruisce una corazza o all’apparenza si dimostra di essere ciò che realmente non si è. Delusioni, amarezze, prove, eventi, segnano la nostra vita e, inevitabilmente, ci portano ad essere scartati, o a scartarci, fuori dal sistema. Credo che compito di ogni uomo, del discepolo di Cristo soprattutto, sia quello di farsi compagno di strada, come lo fu Gesù per i Discepoli di Emmaus (Lc 24,13-53), accompagnando i passi di quei delusi viandanti fino alla manifestazione di Lui risorto e vivo e trasformarli in passi di pellegrini.
Mettersi in ascolto
Dobbiamo imparare a tirare fuori, da noi stessi e dagli altri, il meglio di noi; dobbiamo imparare a vincere la tentazione (in cui siamo soliti cadere) di fermarci all’apparenza dove, a dirla con il vangelo, possiamo confondere “sepolcri imbiancati”, per persone dabbene e “tesori veri” per merce di bijoutteria.
Occorre, come saggiamente ci ricorda il cammino sinodale intrapreso, mettersi sempre e costantemente nella dimensione dell’ascolto. Il card. Matteo Zuppi nell’introduzione a “I cantieri di Betania”, scrive: “È tanto necessario ascoltare per capire, perché tanti non si sentono ascoltati da noi; per non parlare sopra; farci toccare il cuore; per comprendere le urgenze e sentire le sofferenze; per farci ferire dalle attese; sempre solo per annunciare il Signore Gesù, in quella conversione pastorale e missionaria che ci è chiesta”.
Dobbiamo chiedere al Signore la grazia di un cuore delicato, come la mano del restauratore, che sa togliere l’intonaco, la polvere e quanto si è accumulato, tanto da non mostrare la bellezza che esso contiene. Allora con l’Orante ripeteremo: “Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (Sl 147,3).
Don Roberto Strano