All’indomani della canonizzazione di Francesco d’Assisi, fortemente voluta da Gregorio IX il 16 luglio 1228, per scelta caldeggiata dallo stesso pontefice, Tommaso da Celano ebbe il privilegio di essere designato come biografo ufficiale del Santo.
Il Celano nella sua “Vita Prima”, redatta quasi d’un fiato, narra “quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore”, il 25 dicembre del 1223. Non è un caso che l’episodio sia stato posto a chiusura della sua biografia.
Avvicinandosi la celebrazione del Santo Natale, nel primo anno del cammino sinodale della nostra Chiesa, non ho potuto fare a meno di rileggere quel capitolo riservato al Presepio di Greccio. Il racconto del mirabile segno del presepe in cui la bellezza irresistibile di Dio splende attraverso l’assoluta povertà.
Dalla lettura sono emersi in me degli interrogativi. Perché nonostante lo scorrere inesorabile del tempo, l’evento narrato del Natale a Greccio, è ancora così attuale. A differenza delle nostre parole moderne e dotte, dei nostri progetti vagheggiati e poco realizzati? Cosa rende speciale questo racconto? Come fanno queste pagine a mantenere intatto il sapore di una rivelazione e il peso di una profezia?
I tesori, quando sono tali, vanno scoperti, a costo di qualsiasi prezzo o sacrificio!
Quale capacità attrattiva possedeva il poverello di Assisi nel farsi ascoltare?
Come nacque il presepe di Greccio
Le Fonti narrano che quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio. “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme. E in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti. E arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando ceri e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.
Come spiegare questo accorrere gioioso della gente dai casolari della regione con ceri e fiaccole?
C’è qualcosa di sottinteso che qui non viene detto, ma che è necessario sapere! Per Francesco e per tutti quelli della prima ora, Greccio fu come una seconda Porziuncola. Un luogo che presto si caricò di ricordi significativi per tutta la fraternità.
Quando i frati vi arrivarono era questo un luogo aspro e selvatico, con passione e pazienza lo bonificarono e l’abitarono.
Dopo qualche tempo, il ricovero stabilito in quelle zone, iniziò a risuonare nelle ore canoniche di canti di lode. Fino a raggiungere le abitazioni vicine e a scandire la giornata degli abitanti del posto. Questi, timidamente, – narra la medievalista Chiara Mercuri, – presero l’abitudine di uscire dalle case e di partecipare alla vita di preghiera dei frati.
I nuovi “monaci” provenienti da Assisi, pur presentandosi rustici e malandati nel modo di vestire, quando parlavano incantavano ed affascinavano ed erano affabili con tutti.
Inoltre, quando i contadini seppero che molti di quei frati erano stati rampolli della nobiltà di Assisi e che vivevano contenti di esser poveri e di vivere poveri con i poveri, non ebbero più paura e cominciarono a fidarsi di loro. Aderirono all’ideale di vita di Francesco e si convertirono.
Il presepe di Greccio modello di evangelizzazione
Ecco il modello di una evangelizzazione, ante litteram, che funziona, perché tocca i cuori e si propaga per attrazione e per contagio.
A proposito degli uomini e delle donne di Greccio, Francesco, tutto felice, diceva spesso ai frati: “non si sono convertiti alla penitenza tante persone neppure in una grande città, quante a Greccio, che è pure un così piccolo paese”.
Questo, allora, il vero motivo della nascita del presepio di Greccio!
Lì si sperimentò, per anni e nel silenzio, la forza trasformante del Vangelo di Cristo, nella letizia e nella condivisione di vita con i contadini del posto.
Francesco di Assisi, quando chiamò a sé l’amico Giovanni e gli chiese di preparare la nascita del Bambino nato a Betlemme non chiese nient’altroché di continuare a sperimentare insieme ai frati e alla gente di Greccio, la vita secondo il Santo Vangelo.
Il presepe è un Vangelo vivo che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Proprio come ben illustrato da Papa Francesco nella lettera apostolica Admirabile signum del 2019.
La vita dei frati vissuta in letizia e in povertà non era un ideale, anche se radicale, inventato da Francesco. Ma la scelta di Gesù stesso, che da ricco che era, si fece povero e indifeso per noi tutti.
Il presepe di Greccio seppe resuscitare Gesù nel cuore degli uomini
Il Presepe di Greccio, in effetti, equivale ad una ulteriore predica forte e silenziosa di Francesco, rivolta soprattutto a quegli stessi frati che lo contestavano e gli rimproveravano di avere proposto loro una Regola troppo rigida, quasi inumana.
Francesco, camminando insieme coi suoi frati per le strade di Greccio, quale giullare di Dio, seppe resuscitare quel Gesù che giaceva quasi morto nel cuore della stessa gente.
Proprio questo miracolo è degno di nota ed è quello che Tommaso racconta, allorquando, “nel giorno della letizia e nel tempo dell’esultanza”, il sacerdote celebra solennemente l’Eucarestia sul presepio e Francesco stesso “assapora una consolazione mai gustata prima”. Canta il Vangelo come novello diacono, con voce forte e dolce, limpida e sonora. Poi predica al popolo e rievoca con parole dolcissime il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. A tal punto, da passarsi la lingua sulle labbra, ogni qual volta pronunciava: Bambino di Betlemme o Gesù.
Al di là di ogni ragionevole discorso umano, si può dire che a Greccio, tutti i propositi e i traguardi del Sinodo attuale sono meravigliosamente raggiunti. Ad opera di Francesco, nasce una nuova umanità che sa accogliere, cantare e condividere la vita. La povera gente, non chiede miracoli di sorta ma di vivere semplicemente, lavorando, amando e pregando.
Quando si decide di diventare cristiani, niente si perde di ciò che è veramente umano, perfino il fieno collocato nella mangiatoia…
Non ci resta allora che esprimere la commuovente consapevolezza che Kierkegaard annota nel suo Diario. “Io credo che se un giorno diventerò cristiano sul serio, dovrò vergognarmi soprattutto, non di non esserlo diventato prima, ma di avere tentato prima tutte le scappatoie”.
La fede raggiunge la vita e la vita si manifesta pienamente in un nuovo sentire. Poesia di un racconto o racconto di una vita che è diventata anche poesia?
Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa