In questi giorni, mi è risuonata costantemente una frase di Rita Levi Montalcini che dice così: “Nessun impegno è più importante di un amico che bussa alla porta. Ricordalo quando sei di fretta, insegnalo ai tuoi figli, non lasciare che la tua vita diventi povera di tempo”.
Molte volte ci lasciamo sopraffare dai tanti (o pseudo) impegni e perdiamo occasioni uniche. Amiamo ripetere che “non abbiamo tempo”, che il “tempo ci insegue” e, invece, la verità è che “la nostra vita è povera di tempo” e la cosa ancor più grave sembra essere quella di trasmettere ai nostri figli questa concezione. Corriamo continuamente (per inseguire o raggiungere cosa non si sa) e poi siamo sempre insoddisfatti e soprattutto vuoti di cuore.
Quello che fino a ieri sembrava un punto insostituibile nella nostra vita, oggi è stato già scartato e fatto fuori e ci impoveriamo umanamente rimanendo sempre più soli o meglio, diventando “uno, nessuno, centomila” di pirandelliana memoria. Insomma, invece di fare del tempo un kairos (un evento di grazia), lo riduciamo all’inesorabile scorrere del Kronos (tempo), senza dargli valore alcuno.
C’è una storiella che spesso, al Liceo, leggevo ai miei alunni, per invitarli a riflettere sulla preziosità del tempo. Essa dice: “Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernst Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion. Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all’estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone.
Kazirra scese dall’auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro1 ; che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali. Si avvicinò all’uomo e gli chiese: «Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c’era dentro? E cosa sono tutte queste casse?».
Quello lo guardò e sorrise: «Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni». «Che giorni?» «I giorni tuoi.» «I miei giorni?» «I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso…».
Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno. C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella la sua fidanzata che se n’andava per sempre. E lui neppure la chiamava. Ne aprì un secondo. C’era una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari. Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk il fedele mastino che lo attendeva da due anni, ridotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere. «Signore!» gridò Kazirra. «Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.»
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell’aria, e all’istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose. E l’ombra della notte scendeva”. (Dino Buzzati, Le notti difficili, Mondadori, Milano 1971).
Quante volte ci lasciamo prendere dalla nostalgia di un tempo sciupato o usato male? E rimpiangiamo di non aver dato parte del nostro tempo ai nostri cari che non ci sono più? Quante volte abbiamo disertato riunioni o conviviali, in forza dei nostri impegni, abbiamo mancato ad un appuntamento, siamo stati avari in una telefonata, perdendo così occasioni uniche di incontri che ci avrebbero arricchito nello scambio delle esperienze, ma soprattutto avrebbero allietato il cuore?
Non lasciamoci inseguire dal tempo, non progettiamolo troppo, ricordiamoci del monito di Gesù rivolto all’avido ricco i cui campi avevano prodotto tanti beni ed egli si era progettato un futuro agiato, “stolto, stanotte stessa ti sarà richiesta la vita e quello che hai accumulato di chi sarà”? (Lc 12, 13-21). Facciamo in modo di dare al tempo quel valore assoluto che possiede, per non diventare più poveri di ciò che già siamo.
Don Roberto Strano