Riflessione / Intelligenza Artificiale o intelligenze artificiali?

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Intelligenza artificiale Odissea nello spazio

Intelligenza Artificiale o intelligenze artificiali? Dubbio amletico, ma che deve farci tutti interrogare. A un anno dalla sua diffusione, il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace del 2024 ci richiama a volgere ancora lo sguardo agli scenari policromi prefigurati dall’Intelligenza artificiale. Forse caleidoscopici; di certo cangianti; persino evanescenti. Da tratteggiare dopo attenta riflessione. In una prospettiva indicata dalla Parola.

A partire dal modus operandi di algoritmi in regime di deep learning; sfuggente, polimorfo e in parte, oggi oscuro allo stesso mondo scientifico. Self operating, per adottare una terminologia sintetica più consona all’attuale stato dell’arte. Che si può provare a rendere meno inaccessibile in una traduzione appena plausibile: operanti in processi di rielaborazione di dati, in autogenerazione.
Basati cioè sulla capacità di sviluppare sequenze logiche in dinamiche di autoapprendimento ignote all’esterno, fino al risultato finale! Un’autonomia di macchine intelligenti nell’acquisire, impostare e riutilizzare in futuro, dei processi cognitivi, ancora più inquietante se si considera che ad oggi non tutti gli studiosi della materia sono disposti a riconoscerla pubblicamente. E che attualizza i temi già anticipati nell’Odissea di Kubrick, con l’ammutinamento di Hal 9000!

Odissea nello spazio
Il comandante Bowman disattiva HAL 9000 in Odissea nello Spazio

Scelte etiche per l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale

Finora, alle scoperte scientifiche o innovazioni tecnologiche i cui effetti si estendano sull’intero consesso umano, si è riservata una categoria di giudizio che si presume ancorata al buon senso comune: non è lo strumento in sé a dover rispondere a scelte etiche, quanto il suo utilizzo concreto.

Quando le tecniche di rielaborazione dei dati in ambito medico siano volte a prevenire l’insorgenza di gravi patologie o a fornire una diagnosi precoce atta a fronteggiarne in tempo utile l’evoluzione, non v’è dubbio che si tratta di un ricorso all’I.A. non solo eticamente ammissibile, ma auspicabile. Ciò che non può dirsi invece, ad esempio, per la profilazione di soggetti su base statistica, in sede di accesso al credito o per orientare delle indagini su reati, com’è già avvenuto negli U.S.A. con esiti deleteri.

Evidenze che disvelano come quel criterio possa essere, se non disatteso, comunque riduttivo per l’I.A.
Da qui il fermo monito del Papa, che non possa darsi per scontato l’impegno da parte di chi progetta algoritmi e tecnologie digitali, ad agire in una maniera conclamata come etica e responsabile. Perciò occorre istituire, o rafforzare se già esistenti, organismi preposti a esaminare le questioni etiche emergenti e tutelare i diritti di chi possa essere coinvolto in qualunque modo in un utilizzo dell’I.A.

Intelligenza Artificiale o intelligenze artificiali?

Al tal fine si rende ineludibile un dialogo interdisciplinare finalizzato allo sviluppo etico degli algoritmi, la cd. algoretica, per cui siano i valori etici a orientare i percorsi delle nuove tecnologie. Se in tal senso si sono compiuti passi rilevanti in sede di Unione Europea, approvando l’A.I. Act, in assoluto a livello mondiale, la prima disciplina normativa emanata in materia; una regolamentazione che sia realmente efficace richiede degli aggiornamenti costanti e puntuali, se non in anticipo rispetto alle ulteriori acquisizioni che vengano via via a maturare nei vari campi scientifici, almeno di pari passo.

Se tale intento accomuna studiosi e giuristi, il Papa pone per primo, però, anche un’altra indicazione. Che è probabilmente la più avveduta; sicuramente la più meditata; chiaramente ispirata alla Parola. Parlare di intelligenze artificiali, piuttosto che di Intelligenza Artificiale. Non una mera trasposizione lessicale dal singolare al plurale, ma una correzione sostanziale, non solo opportuna, ma necessaria.

Per comprenderla bisogna rimontare all’etimo di intelligenza. Dal latino intelligere, entrare nelle cose e assumerle e ordinarle secondo il senso che si vuol dare loro. Il che implica, non l’acquisizione asettica di cognizioni, ma la formulazione di giudizi su di esse secondo la propria visione etica della realtà. Cioè secondo coscienza. In quanto, l’intelligenza umana si nutre dell’Intelligenza Prima, che è Dio.
Quando ciò avviene “Beato l’uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l’intelligenza, che considera nel cuore le sue vie: ne penetrerà con la mente i segreti (Sir. 14,20-21).

Peccato Originale Cappella Sistina
Peccato Originale, Cappella Sistina

I rischi paventati dal Papa

Indi, qualsiasi attività elaborativa che in uno almeno dei suoi processi non risponda a dettami fissati dall’uomo con criteri basati su scelte etiche già previamente adottate, non può definirsi intelligenza. Almeno nell’accezione finora data al termine; e per i credenti, per la sua riconosciuta origine divina. In sostanza, se l’intelligenza umana inerisce, in quanto sua filiazione diretta, all’Intelligenza Prima, Dio fonte della Sapienza, non può esserci alcuna altra intelligenza propriamente detta, in quanto tale.

Così, il Papa: “Parlare al plurale di forme di intelligenza può aiutare a sottolineare soprattutto il divario incolmabile che esiste tra questi sistemi, per quanto sorprendenti e potenti, e la persona umana. Essi sono, in ultima analisi, frammentari, nel senso che possono solo imitare o riprodurre alcune funzioni dell’intelligenza umana. L’uso del plurale evidenzia inoltre che questi dispositivi, molto diversi tra loro vanno sempre considerati come “sistemi sociotecnici”. Infatti il loro impatto, al di là della tecnologia di base, dipende non solo dalla progettazione, ma anche dagli obiettivi”. Comprensibili, e condivisibili, per quanto esplicitamente solo accennati, i rischi adombrati dal Papa.

Soprattutto, ma non solo, nell’ottica delle future generazioni destinate a nascere e vivere in una realtà permeata dal ricorso ormai consolidato a tali tecnologie e diffuso in molti ambiti del contesto sociale. Ipotizziamoli in due profili, coniugabili nel peccato senza tempo, sempre latente nella storia umana.

Due profili ipotizzabili dell’IA

Il primo, che l’uso consolidato del termine intelligenza artificiale possa indurre a una sua progressiva interiorizzazione come un’entità con identità propria, seppure non alternativa, comunque altra rispetto all’intelligenza umana. Perdendo così la derivazione in via diretta, dall’intelligenza dell’uomo e indi in via mediata, da Dio. Una sorta di logos esistente in sé e non riconducibile alla Unicità del Logos.
Scenario forse remotamente futuribile, ma non escludibile a priori, che sovverte la stessa Creazione: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv,1,3).
L’altro, che l’assunzione, assimilazione e elaborazione di dati conoscibili, in processi intellettivi che si rigenerano senza mai arrestarsi, siano ricondotte a un Pensiero capace di varcare i limiti temporali.

E così, nel continuo aggiornamento di memorie e processi acquisitivi non soggetti al decadimento della vecchiaia e trasferibili ai posteri, coltivare attraverso questo Pensiero il sogno dell’immortalità.
Novella riproposizione del mito di Prometeo o, ad essere più accorti, del “peccato dei progenitori”. Che s’insinua e serpeggia intorno ai totem idolatrici delle tecnologie (Lettera Enciclica Laudato si’). Recepiamo quindi quell’invito del Papa che, nella sua originalità, non pare trovare ancora degna eco.
Consapevoli e confidenti che “Ogni Sapienza viene dal Signore ed è sempre con Lui” (Sir.1,7) e che “In suo potere siamo noi e le nostre parole, ogni intelligenza e ogni nostra abilità” (Sap. 7.16).

                                                                                         Giuseppe Longo