Nel mondo tecnologico, i dialoghi più profondi, come quelli banali, si fanno ormai sui social. Capita, così, che un mattino ti arriva un messaggio fatto di emoticon, senza null’altro, per cui dici al mittente: “almeno buongiorno, potevi scriverlo” e “minacci” di non inviare più un messaggio mattutino di inizio giornata. La risposta che segue è, a dir poco, deludente: “Non può essere, ormai è un abitué”.
Non c’è cosa peggiore, nella esperienza umana e in quella spirituale, di cadere nel baratro dell’abitudine. Ogni cosa che diventa abituale, perde la carica di emozione e scivola nella routine. Scrive Fabrizio Caramagna: “L’abitudine ci rende uguali alla polvere sulle pareti, come se non meritassimo più lo stupore”. Quanto è vero!
Abituarsi ad ogni cosa, logora, stanca, fa perdere qualsiasi movente.
In una poesia l’immagine dell’abitudine
C’è una poesia – che circola sul web – triste, scritta da Lidia Valentinis (anche se viene attribuita pure ad altri) che recita così:
Poi ti abitui, sai…
Al caffè con poco zucchero
a non mettere troppo sale
a non guardare l’orologio
ad avere più pazienza
alla gente che non saluta
all’indifferenza
a stare più da sola
a non chiedere aiuto
a vivere alla giornata
a credere di più in te
e non aspettarti niente dagli altri.
Ti abitui a tutto
anche alle mancanze, alle partenze,
alle delusioni, alle mazzate al cuore,
come a un lutto.
Dentro. Ti abitui.
Essa evidenzia, come l’abitudine, crea e genera sfiducia negli altri e ti fa guardare a ciò che ci circonda o allo spettacolo della natura, senza trasalimenti di stupore e meraviglia.
Ci si abitua pure all’amore, alla famiglia, agli amici e tutto diventa senza un movente.
L’abitudine appiattisce anche la vita spirituale
L’abitudine può anche accadere nella nostra vita spirituale, quando ci abituiamo ai ritmi della preghiera, alle celebrazioni, alle esperienze. Nulla ci permette, a quel punto, di entrare in un dialogo con il Signore, niente ci fa percepire la bellezza di essere comunità, o di sperimentare il gaudio della comunione.
Facciamo tutto quasi meccanicamente, appagati da quella abitudine, che poco o nulla ha inciso nel nostro cuore. “Quest’abitudine ci fa male, perché riduciamo il Vangelo a un fatto sociale, sociologico, e non a un rapporto personale con Gesù” (Papa Francesco, omelia santa Marta, 5.10.2018).
Un autore anonimo scrive: “Cambia abitudini tre volte all’anno e otterrai risultati fenomenali”. Dovremmo, ogni tanto, fermarci e chiederci: perché facciamo qualcosa? Perché compiamo un’azione? Come ci rapportiamo con gli altri? Eviteremmo così quel meccanicismo che ci porta a essere stancamente ripetitivi, banali e abitudinari. E ci abitueremo alla novità che genera quei sentimenti di meraviglia e di stupore in noi e attorno a noi.
Don Roberto Strano