Riflessione / Per Natale, dal vino una lezione a sottrarre anzichè aggiungere

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Renoir bicchiere di vino e pane 1908

Chiunque si trovi a visitare una cantina in questo periodo, resterà inebriato dagli intensi profumi che qui dentro si possono respirare. È il profumo del vino travasato, una volta terminata la fermentazione ed eliminati i sedimenti.
Inebriante ed intenso, si espande in tutti gli ambienti e lancia già i primi segnali di come sarà il nuovo vino al naso e al palato. È un richiamo alla vita stessa, al suo divenire e al suo mutare nel tempo.
Ma è anche l’emblema dell’essenzialità. Questa operazione nelle cantine dell’Etna d’un tempo si avviava a partire dalla festa di San Martino. L’assaggio del vino nuovo era accompagnato dalle prime caliate con le castagne dell’Etna e dalle arrustute delle salsicce ottenute da maialini nostrani.

La complessa lavorazione del vino

Per gli adulti, e per gli addetti ai lavori, questo profumo è familiare.  Tornarlo a respirare è un richiamo nostalgico ai vecchi tempi, quando si assisteva ai travasi del vino in periodi particolarmente freddi, sereni e  di luna calante. Poi, quasi come una danza, tutti i movimenti a seguire erano indirizzati al rabbocco di damigiane e bottiglioni con il vino nuovo. Pronti per bandire le tavole per le imminenti festività natalizie. Oggi il vino, con le sue sfaccettature di colori e sapori diversi, continua a essere un elemento unificante nelle celebrazioni natalizie in tutto il mondo.

pierre auguste renoir bicchiere di vino e pane 1908
Pierre Auguste Renoir, bicchiere di vino e pane- 1908

Dai residui delle botti, una volta messi nei sacchi e inseriti nei tineddi, si otteneva un altro vino, dal gusto dolce e dal contenuto alcolico notevole, chiamato torcifezza. Un vino leggero, si direbbe, eppure forte, fortissimo, nella pratica. La feccia rimasta era destinata alle distillerie per dare vita alla grappa.
Le botti, al termine dei travasi, venivano chiuse ermeticamente, i graspi riutilizzati per la concimazione invernale della vigna, i vinaccioli raccolti dai contadini e mescolati con frumento e altri cereali, un composto chiamato scagghiu, e dato come mangime alle galline.

Praticamente i nostri nonni ci hanno consegnato un limpido e saggio esempio di economia circolare. Dalla mezzadria possiamo cogliere solo buone pratiche. Capiamo cosa vuol dire sostenibilità se guardiamo al passato più che al futuro, se viviamo in sottrazione, comportandoci come i mezzadri: consumando e chiedendo meno, restando felici di quello che madre natura ci ha donato, aiutandosi e rispettandosi di più gli uni e gli altri.

Comportiamoci come mezzadri per tornare al vero Natale

Il Santo Natale ci ricorda i medesimi insegnamenti della mezzadria. Questo termine deriva dal tardo latino medietarius e indica “colui che divide a metà”. La sapienza contadina ha sempre saputo trarre una quantità svariata di frutti a partire da un solo frutto.
Oggi la situazione è totalmente capovolta: non vogliamo, o non sappiamo, più possedere un solo bene ma desideriamo averne sempre di più.

A mio avviso non si tratta tanto di tornare all’essenziale. Mi torna in mente una frase del romanzo “Il passeggero” di Cormac McCarthy che dice “Se non cerchiamo l’essenziale, allora cosa cerchiamo?”. L’essenziale è sempre rimasto accanto a noi, mentre noi siamo stati risucchiati dal conformismo. E non lo riusciamo più a vedere. Quasi ci spaventa.
Il Natale è l’occasione migliore per guardarci intorno e anziché aggiungere, che si traduce in spreco, sottrarre, il che vuol dire qualità e autenticità.
Il proverbio ci ricorda che “il pane di ieri è buono domani”, così anche il vino. Può essere davvero un bel Natale se ce lo ricordassimo sempre.

Domenico Strano

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