Riflessione / Vita digitale o human life? Tecnologia disumanizzante

0
97

“Ormai abbiamo in tasca il mondo intero. In pochi centimetri di plastica e microchip – scrive lo psichiatra Vittorio Andreoli – sono racchiuse infinite possibilità di comunicare, informarsi, divertirsi, concludere un affare e addirittura innamorarsi. E’ il telefonino (o smartphone, tablet): simbolo dell’era digitale, strumento che incarna e riassume il bisogno tutto umano di parlare, ascoltare, capire”.SAMSUNG CAMERA PICTURES
Ma siamo davvero sicuri che l’era della tecnologia sia la migliore delle ere? Certo, la tecnologia ha indubbiamente apportato dei vantaggi inimmaginabili all’uomo moderno. Ha accorciato le distanze spazio-temporali dando immediatezza alla comunicazione. Tuttavia, vi sono alcuni nodi aporetici intrinseci all’idea stessa di tecnologia: permangono le debolezze e le fragilità della natura umana. La vita più pratica e veloce che ne consegue ha vituperato il concetto di lentezza spingendo l’uomo a correre sempre più rapidamente fino al punto da non potersi nemmeno soffermare nel pensiero e a porsi delle domande.
Non è da trascurare il fatto che esiste un legame tra il concetto di lentezza e lo spazio della riflessione: “andare lenti – scrive Franco Cassano – è saper riempire la giornata con un tramonto”. La paura è che la tecnologia svuoti la mente dell’uomo, modificandola artificialmente ed artificiosamente nelle sue strutture, affidando totalmente questa procedimentalizzazione della vita alla “macchina”. Il rischio è che l’uomo della tecnologia si sentirà talmente sollevato dal senso della fatica da dimenticare di compiere le azioni stesse del quotidiano, astraendosi sempre più dalla vera società (human life). Finirà così fra le quattro mura di una stanza, entrerà in una sorta di vita parallela, più facile e più leggera, si, come il volo di un gabbiano, ma che fa parte, come scrive Andreoli, “della logica dei viventi non umani, regredendo e passando alla fase dei nostri antenati primitivi. Saremo dei primitivi tecnologizzati, ma primitivi”. La paura è che questa società venga annullata e, come una malattia autoimmune, si autodistruggerà chiudendosi nell’individualismo più estremo, nel narcisismo, nell’eccessiva esaltazione del “sé”, con la conseguente rottura dei legami sociali. La superfetazione dell’Io ci farà indossare milioni di maschere perché l’uomo prendendo ad esempio la perfezione della “macchina” (tramite il mondo internet) la vorrà traslare nella sua personalità creando un “Io ideale”, che non corrisponde a quello “reale”. Si avrà allora una società vocata all’inutile, al superfluo, alla rappresentazione “del se” più appariscente e meno “vivo”.
Volendo spostarci dalla visione critica a quella filosofica, è questo uno degli esiti della “Libertà” portata all’estremo delle sue conseguenze. La massima libertà di autodeterminazione dell’uomo reca in sé la possibilità dell’errore, della deriva da se stesso, facendolo a volte approdare laddove non avrebbe mai voluto, ovvero alla solitudine e al senso più spaventoso del “non senso” della vita stessa.

Giuseppe Stefano Proiti