Riflessione / Vivere la Pasqua percorrendo le strade dell’amore e dell’amicizia

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Pasqua ultima cena

“Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua. Seguitelo e là dove entrerà, dite al padrone di casa: il Maestro dice: dov’è la mia stanza, perché vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta: là preparate per noi …»” (Mc 14, 12 – 15)

E’ l’evangelista Marco che, in questi versetti, con pennellate veloci, eleganti e ben definite degne di un grande artista, non solo ci offre il racconto di un rito importante compiuto da Gesù, come quello della Pasqua, ma anche lo svelamento più pieno dell’esistenza umana che per essere tale non può ridursi all’accettazione del proprio destino. Piuttosto deve divenire il compimento di una vita, come la realizzazione di un’opera d’arte.

Pasqua

Di fronte al Vangelo di Marco, in particolare, tutti i cristiani devono saper riacquistare la capacità di stupirsi, talento naturale dei piccoli di ogni tempo. Senza lo stupore tutto viene inghiottito e interrato sotto le sabbie mobili dell’abitudine e della mediocrità, imperanti e sempre in agguato nella nostra vita.

Prima di Marco non esistevano i Vangeli, poiché  nessuno aveva scritto il racconto dei racconti. Esistevano solamente due importanti cataloghi che riguardavano la vita del Nazareno: quello delle sue parole e l’altro dei segni compiuti da Lui.

Le testimonianze gioiose, spontanee e convincenti dei discepoli di Gesù, dopo la resurrezione, per forza di cose, avevano fatto nascere da parte della gente di Gerusalemme un desiderio irrefrenabile di saperne di più. Quella vita interessava, faceva breccia nell’animo umano, passava di bocca in bocca, anzi di cuore a cuore.

Il Vangelo di Marco

Marco, con il prezioso dono della sua originalissima opera, ha saputo riscaldare e illuminare il cuore di molti, soprattutto degli appartenenti all’area dei cosiddetti gentili.
Con lui lo stupore e la meraviglia si fanno Vangelo! Gesù è Colui che aveva conquistato quanti erano affamati di giustizia, di amore, di pace. Come avvenne per quel Centurione romano al Golgota, che stando di fronte a lui e vedendolo spirare in quel modo disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).

Matrice Linguaglossa, crocifisso
Cristo crocifisso, Matrice di Linguaglossa

Nel testo marciàno, narrato con suprema eleganza, Gesù affronta non solo la morte, ma l’azzeramento di quella pienezza di vita che era venuto a portare. Si mette a morte Colui che era apparso sulle strade della Palestina come un affascinante e insigne guaritore. Ma Gesù si preparava ad affrontare qualcosa di peggio della morte. Coloro che amava, molto presto lo avrebbero abbandonato, la pace che aveva annunciato e offerto verrà fagocitata dalla violenza, la casa demolita, l’unità spezzata. Seduto alla tavola degli uomini mangiava il pane dell’afflizione, pane capace di soffocare il gusto della vita.

Secondo Simone Weil “l’afflizione è una cosa a parte, specifica, indicibile. È ben diversa dalla semplice sofferenza, si impadronisce dell’anima e le imprime fino in fondo il vero proprio marchio, quello della schiavitù. Come veniva praticata nell’antica Roma è soltanto la forma estrema della sventura.” Gesù, infatti, viene reso schiavo.

Segni di speranza

Eppure, in questa storia di amara afflizione fanno capolino segni di inaudita speranza. Sappiamo, infatti, dal Vangelo di Giovanni, che Gesù e i suoi discepoli si preparano a ciò che stava per accadere proclamando l’Inno, con parole di canto, prese dai Salmi 114-118.Golgota

Ora, riprendendo i versetti di Marco, si può ritrovare qualcosa di meraviglioso che soltanto le parole delle Sacre Scritture, insieme a quelle altre reliquie, presenti nelle tradizioni antiche, possiedono! Coloro che vengono attratti dalla sua stupenda melodia, sapranno gustare anche le note della sua delicata tenerezza!

Chi dovrà fare corpo a corpo con l’ingratitudine, con la violenza, anzi con “la banalità del male” e con la sventura, prima di farlo, sceglierà per sé e per i suoi amici discepoli un luogo d’ineffabile delicatezza. E un tempo appositamente dilatato che è quello dell’amore, pagato a caro prezzo, sino al suo compimento. “Una sala grande al piano superiore con i tappeti, già pronta”, “perché vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli”.

Camminare con gli altri

Ah, questa lezione dell’amicizia, dell’amore infinito del Figlio di Dio! Chi ci insegnerà le strade dell’amore, i suoi meravigliosi tornanti? Io vedo il tempo del Sinodo, unicamente, come un invito a lasciarci stupire. Come un tempo favorevole per scoprire le autentiche ricchezze e bellezze della vita, dell’amicizia, del camminare con gli altri. Scegliendo ed eleggendo proprio il verbo camminare, da coniugare sempre e comunque, insieme all’altro, più delicato, che è “passeggiare”. Come faceva Dio che, dopo aver posto Adamo nel suo giardino amava farlo con lui e, quella volta che Adamo si fu nascosto, gli disse affabilmente preoccupato: “Adamo dove sei?” (Gn 3,9).

Chi ci aiuterà, dunque, a prendere in mano nuovamente questo manuale dello stupore e della gioia, dei suoi meravigliosi catechismi, se non Colui che disse: “non c’è amore più grande di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici” (Gv 15,13).

L’imponderabile fa sempre deragliare i nostri piani umani. E ciò che resta nella vita è tutto quello che avremo realizzato liberalmente, sovranamente, avendo scelto di camminare con gli altri, senza secondi fini, come fece Gesù nel Nuovo Testamento, o come ci insegna Dio nell’Antico Testamento, di passeggiare nel giardino dell’Eden con Adamo, nello stupore e nella meraviglia, poiché l’Eterno non si rifiuta di porgersi cortesemente al temporale.

O grandezza della scelta di Cristo, nell’aver preferito la casa di un suo amico per celebrare la sua ultima Pasqua!
Mi tornano così in mente le stupende e consolanti parole di Valery Larbaud: “oggi come ai tempi evangelici Gesù Cristo elegge a sua dimora la casa degli amici” e “a casa loro Dio è a casa sua”.

Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa