In memoria di antichi soprusi e delle passate lotte è stata dedicata alla donna una giornata, una giornata per non dimenticare. Ma cosa le donne di oggi non devono dimenticare?
L’annosa questione richiede un approfondimento che coinvolge molteplici aspetti della loro vita.
Istituita l’otto marzo del 1908 negli Stati Uniti, in memoria di 129 donne morte carbonizzate in seguito ad un incendio scoppiato nella fabbrica dove, già da qualche giorno, stavano scioperando per le disumane condizioni in cui versavano. Vennero chiuse dentro l’edificio dai datori che appiccarono il fuoco. Forse un monito verso altre simili azioni sovversive?
Sfruttate e sottopagate, continuarono successivamente a lottare e lavorare, unite in ogni paese del mondo contro le disparità sociali, per la rivendicazione dei propri diritti e organizzando manifestazioni a favore della parità fra i sessi.
La giornata dedicata alla donna avrebbe dovuto ricordare che le battaglie di ieri sono valide ancora oggi e bisogna onorare la memoria di quelle donne che hanno combattuto anche per noi, affinché potessimo decidere della nostra vita in totale autonomia. L’emancipazione è stata lenta e faticosa, le umiliazioni, soprattutto in ambito lavorativo, sono progressivamente diminuite ma non scomparse: il sesso debole è l’espressione che molti uomini usano ancora oggi per definire le donne.
Debole, indifeso, per la forza fisica o perchè privo di diritti?
Presso gli antichi romani era presente un ceto definito silente di cui facevano parte contemporaneamente donne e schiavi, privo di diritti e spesso di dignità, a cui per molto tempo alcun storico dedicò loro una solo frase.
Nel corso dei secoli la donna ha ricoperto vari ruoli: moglie fedele, quasi simile alla fedeltà di un cane verso il padrone, madre, spesso di una tribù di bambini, lavoratrice instancabile, cortigiana amata e denigrata, serva di Dio ma non per vocazione. Ha dimostrato forza e tenacia durante la Grande Guerra sostituendosi anche nei lavori più duri gli uomini chiamati al fronte.
Passo dopo passo la donna ha preso coscienza delle sue potenzialità.
Il mondo culturale e politico riservato da sempre agli uomini, ha visto finalmente apparire personaggi illustri: Rita Levi di Montalcino, premio Nobel per la medicina, anno 1986; scrittrici come Nadine Gordimel, premio Nobel per la letteratura, anno 1991; il Primo Ministro della Gran Bretagna Margaret Thatcher, anno 1979; il Primo Ministro francese Edith Cresson, anno 1991 e l’ odierno Cancelliere tedesco Angela Merkel.
Giovani donne oggi affollano le università con ottimi profitti e nel mondo del lavoro ricoprono posizioni da dirigente, un esempio fra tanti quello di Fabiola Gianotti, fisica italiana, attuale direttrice generale del CERN.
Tuttavia una preoccupante tendenza si sta insinuando fra le fila del gentil sesso: la voglia di rivalsa e di emergere ad ogni costo, che può oscurare la mente. Arrivista ed aggressiva la donna si sta allontanando dallo spirito che ha animato la sua lotta per l’emancipazione.
Così la festa della donna non afferma più niente anzi nega ciò per cui è stata istituita. Che fine hanno fatto le donne che bruciavano il reggiseno, emblema di un femminilità che oramai stava loro stretta?
Non sarà un corpo più o meno vestito, una bellezza perfetta e spersonalizzata, la strada verso la parità e libertà. Bisogna ricordare che essere donna “non significa riempire una minigonna” proprio quella che magari si indossa mentre la si denigra e ricordare che la lotta è stata anche contro l’immagine della donna come ornamento.
Protagoniste silenziose di secoli di storia, radici robuste di un albero, quello della vita che generano e accudiscono, le donne della moderna società necessitano di tutele e servizi adeguati per continuare a ricoprire i numerosi ruoli che da sempre espletano e gestiscono.
Essere libere di scegliere, di agire, di piangere e gioire, significa rivendicare la propria differenza dall’uomo, non confondere la parità dei sessi con l’appiattimento dei sessi. Essere donna è anche indossare una minigonna, ma non bisogna dimenticare che in molte hanno lottato e sofferto per permettere a noi oggi di indossare questo semplice indumento.
La stessa è la strada che dal basso porta verso l’alto e viceversa.
Vanessa V. Giunta