Una Cattedrale strapiena, il giorno del Corpus Domini! Sembrava che tutti i fedeli di Acireale si fossero radunati insieme per adorare e manifestare la loro devozione alle sacre specie del Pane e del Vino, segno tangibile del Corpo di Cristo, in obbedienza al comando di Gesù: ”Fate questo in memoria di me”.
Nessuno può leggere nel cuore degli uomini e misurare la qualità di relazione che passa tra il singolo fedele e Dio. Resta un mistero perfino a noi stessi quel che Dio nel giorno del nostro Battesimo ha voluto per noi. Siamo stati innestati in Lui, mescolati nella Sua divinità, perché fossimo “santi” come Lui è santo. Infatti, l’innesto produce questa trasformazione nella pianta: inserendo in un tronco “selvatico”, come si dice nel gergo contadino, un germoglio sano, di vite, d’ulivo, di pesco, o d’altro, si crea una simbiosi tra il tronco e la nuova gemma. Si forma una nuova pianta, capace di produrre solo frutti buoni da mangiare, non più frutti selvatici. Così noi nel Battesimo, attraverso il segno dell’aspersione dell’acqua e le parole del sacerdote, dopo averci chiamati per nome: “Teresa, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, veniamo innestati nella santità di Dio e uniti a Lui per sempre. Da quel momento diveniamo “figli”, possiamo invocarLo con il nome di “Padre” e affidare a Lui tutti i nostri affetti, i nostri bisogni, le nostre attese. A differenza della pianta che produce automaticamente il frutto buono dopo l’innesto, noi, con la nostra capacità di scegliere quel che riteniamo “bene” per noi, rimaniamo liberi di produrre quei frutti di grazia e benevolenza che lo stato di figli ci consente, d’ignorare quella eredità di bene che ci è stata donata gratuitamente o rifiutarla. La nostra accoglienza del dono, il nostro desiderio di avvalerci di questa offerta di santità di vita, trasforma la nostra natura umana impregnandola della santità di Dio, da cui scaturisce tutto il bene, tutta la felicità, tutta la pace che ogni cuore e ogni mente umana possano desiderare e contenere.
Chiedere a Dio anche la soluzione dei nostri piccoli o grandi problemi, per noi e per le persone a noi care, è una facoltà che possiamo esercitare liberamente, ma la nostra unione con Dio oltrepassa questi bisogni quotidiani, perché Dio, con la saggezza dei suoi insegnamenti e il modello di vita che il Figlio Gesù ha condiviso con l’umanità intera, venendo nel mondo come uno di noi, ci propone il senso pieno della vita e ce la rende eterna.
Se tanta folla si concentra in una Cattedrale e, anche stando in piedi a lungo, segue un rito, ascolta con attenzione la Parola del Vangelo, si nutre di quel Pane consacrato, anela certamente a qualcosa che non è solo un gesto, una tradizione. Né si limita, sicuramente, a chiedere un dono materiale da consumare in un tratto di strada. Cerca qualcos’altro. Cerca un benessere spirituale duraturo, capace di dare gusto e senso alla vita, che duri oltre il tempo e lo spazio di una celebrazione, che lo renda capace di affrontare le difficoltà quotidiane e che lo mantenga in pace, lieto e gioioso nel più profondo dell’anima. “Venite a me, voi tutti, affaticati ed oppressi …, voi tutti assetati di giustizia, io vi libererò, io vi sazierò”. Anche la Samaritana, andata ad attingere acqua al pozzo, stupita dalla rivelazione di Gesù: “Se tu conoscessi il dono di Dio!”, non esita a chiedere: “Dammi di quest’acqua!”.
Lungo lo scorrere della processione dei devoti, appartenenti alle varie associazioni e istituzioni religiose della città, che a cominciare dalla Cattedrale, si snodava lungo il corso Umberto e giungeva fino alla piazza Garibaldi, quando ancora la gente usciva dalla chiesa per accompagnare il Santissimo, come una cordata, che aggregava e univa in un unico abbraccio tutta la città, intonando canti, preghiere e suppliche, sembrava formarsi un cuor solo e un’anima sola. M’interrogavo se davvero noi fedeli fossimo capaci di una fede interiore radicata su quella Parola, che pronunciata, crea, dona vita, rinnova. “Dio disse” e la creazione esplose in tutte le sue forme (aria, acqua, terra, firmamento, monti, alberi, animali e uomini). “Si compia in me quel che hai detto”e la Parola rese gravido il seno di Maria. “Questo è il mio corpo!” e la Parola trasforma il pane e il vino, frutto del lavoro dell’uomo, offerto sull’altare, in nutrimento spirituale, ci fa diventare una cosa sola con Dio, con la SS. Trinità. “Amatevi come io vi ho amato” e quella Parola che Gesù ci ha consegnato prima di tornare al Padre, quella Parola, come ogni Parola della S. Scrittura è per noi, per ciascuno di noi, ancora oggi e per sempre, Parola di salvezza, Parola di vita eterna.
Penso alla folla che seguiva Gesù lungo le strade della Galilea, della Palestina, fino a Gerusalemme. Penso a quei Dodici che condivisero con Lui le ultime ore, prima e dopo la crocifissione. Anch’essi si rivelarono deboli, paurosi, eppure, lo stesso Gesù che li rimprovera per la poca fede e durezza di cuore, non esita a fidarsi di loro e li manda in tutto il mondo per raccontare quel che avevano visto e vissuto. Oggi, tocca a noi. Anche se deboli, peccatori, duri di cuore, gente di poca fede, quella Parola, chiede di essere accolta, incarnata e vissuta da noi. A noi è chiesto di confidare in Dio e di fidarci della Sua Parola, con quella fiducia che Dio stesso per primo ha riposto in noi. E se basta un granellino di fede, grande quanto un seme di senape, per spostare una montagna, con un granellino ciascuno, avremo un mondo a misura di Dio.
Teresa Scaravilli