Le due parole chiave con cui il Premier Renzi ha salutato l’approvazione de “La Buona Scuola”, autonomia e merito, segnano una rottura con il passato. Offrono l’occasione per costruire un rapporto più sussidiario e sinergico tra scuola e famiglia e per dotare i ragazzi di quelle necessarie competenze tecniche, e prim’ancora umane, per competere nel mondo del lavoro
La riforma della scuola recentemente varata dal Governo Renzi è un segnale certamente positivo per la modernizzazione del Paese. Un “passo avanti”, come l’ha definita il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, in un Paese vittima delle sabbie mobili dell’immobilismo di una società bloccata e senza fiducia. Le due parole chiave con cui il Premier Renzi ha salutato l’approvazione de “La Buona Scuola”, autonomia e merito, segnano una rottura con un passato che ha visto la scuola diventare il regno incontrastato della burocrazia e dell’egualitarismo al ribasso, in cui alla fine viene premiato chi fa meno e chi più si conforma al rassicurante “si è sempre fatto così”, anche quando ciò si rivela contrario all’interesse degli studenti.
Il nostro modello scolastico, anche a causa di tale approccio, è risultato carente proprio nel fornire agli studenti – accanto alle competenze di tipo teorico, tecnico o specialistico (“hard skills”) – la capacità di interazione (positiva) con gli altri, di “problem solving”, di visione d’insieme, ovvero, quelle “soft skills” su cui, nelle società postindustriali, le imprese riescono a valorizzare il capitale umano facendone la vera fonte di vantaggio competitivo. In questo senso, autonomia e merito rappresentano, dunque, l’auspicio per una scuola finalmente libera dal riflesso di quella cultura burocratica che permea le nostre istituzioni e la nostra società, e che sia capace di fare della meritocrazia il criterio guida tanto della sua organizzazione che del patto educativo con gli studenti e le loro famiglie.
Una buona scuola, per essere tale, richiede però che le modifiche normative siano accompagnate da un profondo cambio di mentalità e da coerenti comportamenti pratici da parte di tutti gli operatori del sistema scolastico, dagli insegnanti e dai dirigenti, come dagli studenti e dalle loro famiglie. Occorre cioè dimostrare concretamente che strumenti come autonomia e merito, piuttosto che rappresentare un pericolo, possono essere l’occasione per costruire un rapporto più sussidiario e sinergico tra scuola e famiglia e per dotare i nostri ragazzi di quelle necessarie competenze tecniche, e prim’ancora umane, per competere nel mondo del lavoro. È proprio su questo fronte che si dovrà perciò misurare la capacità della riforma di innescare un cambiamento tanto nella scuola quanto nella nostra società.
In questo contesto, sia i credenti che operano nel mondo della scuola che le famiglie cattoliche possono essere il motore propulsivo di una buona scuola, che sappia fare buon uso dell’autonomia gestionale e organizzativa così come degli strumenti di valutazione degli insegnanti, preparando i giovani alle sfide di una società complessa, sempre più dinamica e interconnessa, in cui le virtù personali e l’etica del lavoro sono di gran lunga più importanti persino delle competenze tecniche, specialistiche o tecnologiche.
Se per anni il patto educativo tra famiglia e scuola si è dimostrato fragile, contrassegnato da tensioni e segni di sfiducia reciproca nel rapporto tra genitori e insegnati, occorre scongiurare il rischio che i genitori tendano ad autoescludersi dalla vita dei loro figli, rilanciando, invece la naturale vocazione della famiglia a “educare i figli perché crescano nella responsabilità di sé e degli altri” (Papa Francesco, 20 maggio 2015). Alla scuola e agli insegnanti, in continuità con l’educazione familiare, spetta il compito di trasmettere il sapere aiutando i ragazzi a scoprire i propri talenti, a compiacersene e a sfruttarli al massimo riconoscendo però che essi sono un dono che spetta alla nostra libertà mettere generosamente a disposizione degli altri.
Una cultura del merito, accompagnata da un profondo senso di responsabilità verso il prossimo, rappresenta il presupposto essenziale per accrescere e sostenere il nostro capitale umano e, soprattutto, per far si che esso si trasformi in quel capitale sociale così decisivo per lo sviluppo di una società fondata sulla fiducia, autenticamente umana e capace di contrastare efficacemente l’idolatria dell’individuo.
I credenti che operano nel mondo della scuola possono perciò dare un contributo decisivo per modernizzare il nostro sistema scolastico, fornendo agli studenti un esempio quotidiano sia in termini di generosa dedizione al lavoro che di trasmissione di quell’etica del lavoro che deriva dal magistero sociale della Chiesa.
Il futuro del Paese è intrinsecamente connesso con quello della scuola. Investire sul capitale umano rappresenta perciò il modo più serio e credibile per invertire la rotta. Specie in periodi di difficoltà come quello che stiamo attraversando, in cui la disoccupazione giovanile è ormai su livelli preoccupanti, l’umanesimo cristiano può aiutare a favorire quel cambio di mentalità necessario per una corretta implementazione della riforma della scuola, nonché, a fornire ai nostri giovani quelle “soft skills” sempre più richieste dal mondo del lavoro e sempre più indispensabili per competere sui mercati globali.