A Riposto ci sono due stanze magiche, fuori dal tempo. Trovandomi lì sono tornata indietro. Si scivola sul filo della musica verso un passato che sembra talmente lontano da non poter essere nemmeno vero…
E invece non solo è un passato reale, ma esiste anche come presente: la “ mostra permanente del cantastorie”. Ne ho parlato con Luigi Di Pino, l’artefice di tutto questo, un cantastorie che tuttora incanta con la sua voce bellissima.
– A breve inaugurerete, come nasce tutto questo?
“ Tutto inizia nel 2007, grazie ad un finanziamento dell’assessore provinciale alla cultura. Il Comune di Riposto ha destinato al progetto queste due stanze di palazzo Cosentino. Quello che vedi qui è tutto materiale donato: trentatré giri, quarantacinque giri, fotografie, manoscritti, dattiloscritti, copertine, libri, cimeli e tesi di laurea sul cantastorie…”
– Partiamo dall’inizio, com’è cominciata quest’avventura per te?
“E’ una storia che inizia nel ’95. Avevo fondato un gruppo in cui ero cantante, chitarrista, autore e compositore. Insieme a me c’erano un violinista, un bassista, un batterista e un cantante- tastierista. Facevamo “poesia e musica d’atmosfera”. I testi, scritti da me, erano vere e proprie poesie e già c’erano in quel progetto delle gocce che preannunciavano il successivo passaggio a cantastorie: i testi in dialetto a tratti parlati con sottofondo musicale”
– Qual è stata la svolta?
“Nel ’98, in seguito ad un concerto, ricevetti una lettera battuta a macchina da parte di Vito, uno dei figli di Orazio Strano , il famoso cantastorie. Era un sonetto che concludeva con l’augurio di acquistare tanta fama in Sicilia e ‘fuori’… Gli risposi per posta e in rima e lui rispose ancora, sempre in rima. Ad un certo punto di questa corrispondenza mi spedì una cassetta che conteneva per metà i suoi brani e nell’altra metà le storie di Orazio. Ascoltandola capii che era la mia strada, un’arte che ne condensava quattro: poesia, musica, teatro e pittura.”
– E così hai iniziato a fare il cantastorie?
“Si, la prima esibizione risale al gennaio ’99. All’inizio una al mese, poi una a settimana finché mi cercò la Rai per un servizio. Poi fu il momento dei tour all’estero. Nel 2003 ho fondato l’associazione ‘Il cantastorie’, con cui abbiamo pubblicato l’omonimo giornale mensile per sei anni e organizzato la manifestazione di musica popolare ”U cantu nun mori’ dal 2003 al 2011″.
– Parlami del tuo stile.
“In Sicilia c’erano due scuole, una faceva capo a Orazio Strano che aveva uno stile veloce, declamato e potente; l’altra a Ciccio Busacca, un raccoglitore di olive di Paternò che aveva invece uno stile lento e raccontato. Era molto emotivo e piangeva lacrime vere. Busacca inseriva i discorsi col pubblico nel testo rimato, lo invitava a partecipare guardando i quadri. Io ho innovato rendendo le storie più brevi, mai più di 20 minuti, mentre alcune storie del secolo scorso raggiungono addirittura la durata di un’ora e un quarto. Originariamente il cantastorie era solo sia nella vita sia nello spettacolo; io ho enfatizzato il momento musicale inserendo più strumentisti: mandolinista, contrabbassista, percussionista e organettista. Ho miscelato gli stili: ad alcune parti ho applicato il declamato, ad altre il rallentato: Ho creato uno spettacolo misto che alterna canzoni della tradizione siciliana a storie tratte dal repertorio di Strano. Nel 2008 ho fatto l’esperimento del racconto multimediale con le immagini proiettate da computer doppiate dal vivo. Ovviamente ciò, oltre ad essere molto impegnativo dal punto di vista dell’esecuzione (occorre infatti far combaciare la mia voce e il movimento delle labbra sul video) è pure tecnologicamente impegnativo, soprattutto per spettacoli di piazza”.
Insomma storie del passato in chiave anche moderna, senza rinunciare alla tecnologia, per stupire e incantare.
Alessandra Distefano