E’ un incontro tra altre terre, altri mari ed altre genti. È la sintesi di viaggio ideale che tocca mete lontane, è il confronto tra tradizioni, culture e popoli geograficamente lontani, ma accomunati dalla voglia di scoprire una linea di continuità. È l’incontro del mare che entra nel fiume per parlare con la terra. Un crocevia di ricordi, un crogiuolo di tradizioni che finiscono per fondersi tra loro, il tentativo di mettere ancora una volta, una di fronte l’altra, l’arte e la cultura italiana con quella di altri popoli. Acireale chiama Argentina, potrebbe dirsi, a scavare la storia di quegli uomini, ormai da anni nella Terra del Fuoco, ma sempre ben saldi alla loro culla natìa, che non rinunciano, sebbene a migliaia di chilometri dalla loro Santa Maria La Scala, a quell’immagine che li accomuna, a quella forza che li spinge a tornare sulla riva di Aci, alla loro celeste Mamma, che con passione, dedizione e volontà hanno perfino “riprodotto” perché Mar del Plata conoscesse la storia e la voglia di festa che gli scaloti hanno nel Dna. Un viaggio, allora durato parecchi giorni, in cerca di fortuna, con la loro frazione nel cuore, un santino della Madonna in tasca, lì, vicino al cuore per non dimenticar mai di voler mettersi sotto la protezione della loro Mamma Celeste, e via, in altri mondi, sconosciuti, impervi, dove era difficile abituarsi. O forse no. Non risulta semplice sposare due mondi, favorendo l’interazione tra diverse arti, architetture, letterature, musiche, archeologie ed antropologie: un passato da condividere per renderlo conoscibile ai posteri, un futuro da vivere gelosamente nel ricordo di chi vuol portare dietro un “segno” tangibile che possa testimoniare l’ormai inscindibile legame tra chi c’è e chi non c’è più.
Ma forse mai accoglienza fu più calorosa, dalle testimonianza giunteci da oltreoceano, se è vero che il calore della gente argentina va oltre la festa puntualmente celebrata, sulla base del protocollo locale, l’ultima domenica di agosto con la processione della statua che raffigura l’effige della Madonna della Scala, scolpita nel lontano 1950 su iniziativa degli emigrati acesi, che sostituì il quadro che veniva venerato fin allora. Storie da apprezzare per la loro profondità, storie di gente povera in balia del destino che la guerra disegnò, storie di una comunità di pescatori che viveva, e continua a vivere della fatica quotidiana in un altro mare, azzurro come quello di Santa Maria La Scala, caldo e cristallino come lo specchio dove gettavano i loro remi, le loro reti e forse la loro sorte. Non ci è dato sapere se l’esperienza dei migranti ha portato in dote la consapevolezza di non poter più rivedere i colori, i suoni e l’azzurro Jonio dal quale partirono tanti anni fa, ma di loro racconteremo sempre, magari sulle note di una struggente chitarra latina, la familiarità dell’incontro che segnerà sempre, vi è da starne certi, una traccia di continuità tra meridione d’Italia ed Argentina. Senza tralasciare la bellezza del dialogo tra culture accomunate da storie simili, fatte di rinunce, viaggi oltreoceano e ricordi lontani legati alla terra d’origine.
Riccardo Anastasi