Salone del Libro di Torino -4 / Incontro sul senso del giornalismo in guerra

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giornaliste Cecilia Sala e Francesca Mannocchi

Tra i tanti incontri offerti dal Salone internazionale del Libro di Torino, è da segnalare quello avvenuto fra quattro giornaliste italiane. Cioè Francesca Mannocchi, collaboratrice diverse testate come L’Espresso, La7, Sky Tg24 e scrittrice, Annalisa Camilli, esperta in inchiesta e reportage, scrive per diverse testate come La7 ed Internazionale,  Cecilia Sala,  inviata di guerra per testate come Il Foglio e Paola Peduzzi, esperta di politica estera per Il Foglio.

L’incontro dal titolo “La guerra si scrive al presente” è stato un dibattito condotto all’interno della “Sala Rossa” del Salone del Libro ed ha voluto far riflettere sul senso del giornalismo nelle zone di guerra. Le giornaliste hanno raccontato ad una sala gremita di ascoltatori ed ascoltatrici cosa voglia dire raccontare la guerra. Ma, soprattutto, cosa significhi la narrazione della condizione umana in zone di conflitto, dove sembra che la speranza non possa nemmeno esistere.

giornaliste Camilli, Peduzzi, Sala e Mannocchi
Da sx: Annalisa Camilli, Paola Peduzzi, Cecilia Sala e Francesca Mannocchi

Il senso del giornalismo in guerra

Durante il dialogo è emersa, soprattutto, la necessità di mettere al centro l’informazione e, quindi, i lettori, il pubblico. Informare è sempre l’obiettivo da perseguire nel lavoro di giornalista e  bisogna “educare il pubblico ad essere attento”. Nell’interrelazione con questo rapporto di fiducia con chi legge, non può mancare certo il rapporto con la fonte. Come ottengo la mia fonte e come ho accesso a questa fonte. Come faccio in guerra (ma, in generale, durante una qualsiasi intervista) a fidarmi di chi mi sta raccontando qualcosa. E, al tempo stesso, come la proteggo e tutelo o come la restituisco a chi mi legge ?

Nel giornalismo tutto ciò comporta un grande rapporto di fiducia, tra lettore, giornalista, interlocutore. Nel giornalismo di guerra tutto ciò comporta invece un grande patto di fratellanza. Perché bisogna fare i conti anche con il dolore quotidiano che – racconta Mannocchi – è come un dono, perché in quei momenti si ha la fortuna di poter avere accesso alle corde dell’animo umano di chi sta affidando i propri racconti ad un giornalista.
Alla domanda se esiste la speranza in guerra, colpisce la risposta data da Francesca Mannocchi: “Mia nonna diceva che in guerra si ama lo stesso”.

 

Giulia Bella

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