Una campagna nazionale di formazione e informazione sul tumore al seno focalizzata sul tema della “qualità” che dovrà essere garantita a tutte le donne anche attraverso le Breast Unit. Con 48.000 nuovi casi all’anno in Italia, di cui 4500 circa in Sicilia, il tumore al seno resta il nemico n°1 delle donne facendo registrare un aumento dei casi tra le under 45.
In Sicilia si registrano circa 4500 nuovi casi l’anno (Dati Banca del tumore). Un tumore che non accenna ad arrestare la sua corsa ma che al contrario fa registrare un aumento di casi tra le giovani donne con meno di 45 anni. Sono alcuni dei numeri al centro della Campagna di informazione e formazione, in corso, sul tumore al seno “DIRITTI AL CENTRO. LA QUALITÀ DELLA CURA DÀ PIÙ TEMPO ALLA VITA”, promossa da Europa Donna Italia e realizzata con il contributo non condizionante di Roche. La campagna – si legge nel comunicato stampa dell’ente promotore – ha una grande rilevanza sociale in termini sia di formazione delle Associazioni Pazienti, chiamate dal 2016 a svolgere un ruolo specifico nelle Unità di Senologia, sia di informazione. Si rivolge infatti a tutte le donne italiane, perché in caso di diagnosi di carcinoma mammario, siano correttamente informate e possano scegliere la cura giusta.
“Per una donna con diagnosi di tumore al seno, rivolgersi a una Breast Unit (BU) significa essere curata al meglio – dichiara Rosanna D’Antona presidente di Europa Donna Italia (nella foto) – L’approccio multidisciplinare e gli elevati standard di assistenza e cura di un centro di senologia certificato non solo garantiscono maggiori probabilità di sopravvivenza, si stima che il tasso di sopravvivenza delle pazienti è maggiore del 18%, ma anche una migliore qualità di vita lungo tutto il percorso della malattia”.
Una delle peculiarità dei Centri di Senologia specializzati è quella di riunire tutte le figure professionali coinvolte nella diagnosi e cura delle donne colpite da carcinoma mammario: non solo quindi l’oncologo e il chirurgo senologo ma anche il radiologo, il chirurgo plastico, il radioterapista, lo psico-oncologo, il fisiatra, il medico nucleare, l’anatomopatologo coadiuvati dalla figura dell’infermiera di senologia. In questo contesto è fondamentale il ruolo dell’oncologo medico, che ha il compito di individuare il trattamento personalizzato per ogni singola paziente. È questa una figura essenziale del team multidisciplinare, chiamata a garantire trattamenti ottimali e alta qualità di cure ma anche impegno costante nella ricerca clinica e traslazionale.
“Proprio grazie alla ricerca, le opzioni terapeutiche a nostra disposizione si sono arricchite di farmaci innovativi, spesso in grado di colpire bersagli molecolari presenti in alcuni tumori mammari e non in altri. Questo contribuisce alla personalizzazione dei trattamenti, implementa la loro efficacia e generalmente ne riduce gli effetti collaterali – spiega il Dottor Michele Caruso, Responsabile della Ricerca clinica presso Humanitas Centro Catanese di Oncologia – Dal progresso della ricerca ci attendiamo terapie innovative per tutti i sottotipi di carcinoma della mammella. Ad esempio in uno dei sottogruppi più aggressivi, come la malattia HER2 positiva, la combinazione di due anticorpi (pertuzumab e trastuzumab) insieme alla chemioterapia ha già dato un significativo impatto sulla sopravvivenza dei pazienti e ha evidenziato risultati di efficacia anche nel setting pre-operatorio. Proprio l’identificazione della paziente da trattare con terapia medica prima della chirurgia trova la massima espressione nell’ambito della BU poiché durante il “meeting multidisciplinare” il team discute tutti i casi anche nel setting preoperatorio oltre che dopo la chirurgia. Inoltre le nuove formulazioni sottocute riducono i tempi di somministrazione limitando il periodo di permanenza delle pazienti nei day hospital, oltre ad essere meno invasive e più rapide rispetto a quella endovenosa, mantenendo la stessa “efficacia”.
Negli ultimi 30 anni la ricerca ha fatto grandi passi in avanti tant’è che la sopravvivenza continua a crescere costantemente: grazie alla prevenzione e al corretto iter diagnostico-terapeutico, oggi in Italia 9 pazienti su 10 sopravvivono, infatti, a cinque anni dalla diagnosi e la grande sfida per il futuro è rendere la patologia sempre più guaribile.