“La dolciera nella dolceria”. Così è stata intitolata la serata di presentazione dell’ultimo libro di Annamaria Zizza, “La dolciera siciliana”, edito da Marlin, presentazione che si è svolta a Santa Venerina, nell’antica pasticceria Russo. Libro nel quale, del resto, si parla anche e soprattutto di dolci, la cui preparazione con cura e passione è stata definita, nel corso dell’incontro, un atto d’amore.
Sono state le due associazioni culturali StoCuSviT (Storia, Cultura e Sviluppo territoriale) e La Voce dell’Jonio, a organizzare l’incontro culturale che ha visto una nutrita partecipazione. Incontro caratterizzato dalla sobrietà della forma ma anche dalla vivacità e dall’interesse dei contenuti.
Salvatore Russo, contitolare della pasticceria, ha dato il benvenuto agli ospiti. E ha ricordato subito come quella fosse la sede adatta per presentare il libro della scrittrice catanese, dal titolo “La dolciera siciliana”.
I presidenti della StoCuSviT e de La Voce dell’Jonio, Gesuele Sciacca e Giuseppe Vecchio, hanno sottolineato come la serata fosse in linea con gli obiettivi delle loro associazioni, che si occupano di cultura nel e del territorio.
Il giornalista Vecchio, che è anche direttore de La Voce dell’Jonio, prima di presentare il critico letterario e saggista Giovanni Vecchio, ha ricordato che, appunto, la testata, oggi pubblicata online, è affiancata dall’ omonima casa editrice, anch’essa attenta al territorio.
Gesuele Sciacca e Daniela Greco, che musicano ormai da diversi anni, hanno inframezzato gli interventi cantando alcune poesie di grandi autori. Nella loro produzione anche un album di liriche proprio di Giovanni Vecchio. Patrizia Auteri, con garbo, ha letto alcuni brani scelti dalla stessa autrice.
“La dolciera siciliana”: dialogo tra Giovanni Vecchio e l’autrice
La parte centrale dell’incontro è stata il dialogo tra Giovanni Vecchio e l’autrice. Il critico letterario e giornalista, dopo aver presentato Annamaria Zizza, ha accennato al contenuto del romanzo. Subito dopo è passato al previsto colloquio, partendo dall’ambientazione delle vicende nella prima metà del Settecento a Modica, a Catania e a Milano. Ha chiesto se le tre città vengano accomunate dall’atmosfera culturale dell’Illuminismo.
L’autrice ha evidenziato che le due città siciliane non sono rimaste fuori dal circuito culturale italiano. Ha aggiunto che il riferimento a Modica, nella prima parte del romanzo, deriva dal suo amore per la Contea sin da quando studiò storia medievale all’università. Mentre Catania è la città in cui vive e che ha voluto conoscere con attente ricerche. Ambedue le città stavano riprendendosi dopo il disastroso terremoto del 1693. Milano serve per un confronto, per superare il pregiudizio che il Sud sia rimasto fuori dal circuito culturale illuministico.
Alla domanda sulla figura di Tommaso Campailla che domina la prima parte del romanzo, dice che questo studioso, medico e filosofo, l’ha intricata molto. Specialmente quando lei visitò a Modica il sifilicomio che gli è intitolato e seppe delle cure da lui attuate per guarire dalla sifilide. “Maria – ha chiesto il prof. Vecchio all’autrice -, questa ragazzina di dodici anni, reietta e vittima di stupro nonché, di conseguenza, affetta da questa malattia, è raccolta e ospitata e guarita da Campailla, cosa vuole dimostrare?
Un messaggio di riscatto umano
“Maria – ha risposto Zizza – dimostra la possibilità di riscatto umano e culturale, possibile anche quando sembra che il male subito sia irrimediabile. Quando c’è qualcuno “illuminato” che sa raccogliere e valorizzare le potenzialità con il lavoro e la cultura, soprattutto veicolata dai libri di medicina. Maria è anche sostenuta dalla fede in Dio – ha sottolineato l’autrice – e in se stessa. E la sua abilità nel preparare i dolci rappresenta un modo per dimostrare non solo le sue abilità, ma anche la possibilità di fare il bene perché la cucina è un atto d’amore“.
Maria, morto Campailla, è licenziata e si sposta a Catania vestita da uomo per evitare altri rischi. E in quella città viene accolta come cuoca nel palazzo dei Valguarnera, in cui si staglia la figura di Vincenzo. Qui si colloca la vicenda dell’incontro con Giuseppe, un precettore educato a Milano e che è ospite della famiglia. Con lui Maria recupera la propria femminilità.
Altre domande hanno riguardato la vita e la religione del popolo e il contrasto con la vita dei signori dell’epoca. Per concludere, Vecchio ha chiesto se si possa ricavare dal romanzo un messaggio preciso. L’autrice ha risposto che non bisogna disperare. Perchè c’è sempre un po’ di luce che può aiutare il riscatto, far superare i limiti e le difficoltà che appaiono insormontabili.
Insomma – ha osservato l’intervistatore – un romanzo, scritto bene e coinvolgente, fuori dagli schemi comuni nel quale la scrittrice si cimenta dopo le precedenti due opere ambientate nel mondo antico. Come evidenzia nella prefazione Costanza Di Quattro: trattasi di “un romanzo importante che, attraverso un lavoro di introspezione psicologica, riesce a far entrare il lettore nel meccanismo contorto della psicologia di molti personaggi. Ma soprattutto mette in luce aspetti di grande apertura culturale”.
L.V.