Nel corso della recente riunione della Congregazione per i vescovi, Papa Francesco ha accennato, tra l’altro, a un atteggiamento importante che il vescovo è chiamato a fare proprio. Lo ha fatto ricordando un pastore ancora vivo nella memoria. “Dicono che il cardinale Siri soleva ripetere: cinque sono le virtù di un vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza”.
Giuseppe Siri (1906-1989) è stato vescovo di una diocesi, Genova, per ben quarantun anni e quando si ritirò volle offrire un dono ai suoi confratelli nell’episcopato: “Un vescovo ai vescovi. Memorie, discorsi e documenti sul ministero episcopale” (Opera Omnia, vol. VI). Come scrisse nella prefazione il card. Ugo Poletti, presidente della Cei, “la coscienza che il card. Siri ebbe della funzione episcopale (Lui promotore del formarsi in Italia di una Conferenza episcopale nazionale già negli anni Cinquanta) fu singolarmente motivata, profonda, ardente, lungimirante”.
A conclusione del discorso pronunciato per il 25° di episcopato il cardinale genovese si domandava quale fosse la virtù che serve a un vescovo più delle altre e senza incertezze rispondeva: la pazienza. Quella richiamata dal Santo Padre nel tratteggiare la figura del pastore.
E ne spiegava la ragione: “Con la pazienza si dà tempo al bene di rivelarsi e pertanto si ha il tempo di arrivare ai giudizi giusti, non precipitosi, non unilaterali, non passionali”. E continuava: “La pazienza è l’aspetto, vorrei dire il volto esterno con i nostri simili, della carità. Se non c’è pazienza, non esiste carità. Credo che intelligenza, scienza e molte doti non possono essere valevoli nel consorzio tra gli uomini, se non sono accompagnate dalla pazienza”.
La pazienza è una forza, non è una debolezza, perché la pazienza non è subire, un cedere, un ritirarsi, un venire a compromessi, un lasciare correre, un trovarsi paura, uno scappare, un assumere un atteggiamento passivo o rassegnato. Al contrario, la pazienza è un atto di forza con la quale s’inibiscono tutte le reazioni frettolose, improprie e ingenerose. Un cammino di ascesi, innanzitutto, per un pastore. “Questo, cari, ho imparato. Non so se l’abbia praticato bene, questo è un altro discorso e giudicherà Iddio, ma l’ho imparato e l’ho voluto dire. Vedete, per essere pazienti bisogna anche essere umili; chi non è umile non attende, deve giudicare subito per godere la gioia del giudizio e della condanna di altri”.
Bisogna coltivare l’umiltà e la pazienza: queste cambiano il mondo, anche se, inizialmente, può sembrare oscuro. “Badate – continuava Siri – se avrete pazienza molto diventerà chiaro. Molti potranno sembrare a voi, miei confratelli, che respingano il vostro ministero: non spaventatevi mai, abbiate pazienza, ritentate, pregate, vedrete!”.
La pazienza conduce a vedere. “La seconda cosa che ho imparato, cari figli, che negli uomini c’è molto più bene di quello che noi crediamo, in tutti gli uomini c’è molto più bene. Se abbiamo pazienza di aspettare a giudicare, il bene lo scopriamo. Vedete, il male, essendo leggero assai, galleggia e pertanto lo si vede subito. Il bene, essendo consistente, non galleggia, va a fondo e pertanto lo vedono i subacquei o quelli che, nella loro virtù, riescono a fare spiritualmente i subacquei. Io ho visto che avere fiducia negli uomini fa scoprire cose che non si sarebbero mai immaginate e questa fiducia vorrei tradurre a voi, darla a voi”.
Marco Doldi