Una sigla di tre lettere che fa venire i brividi a chiunque: Sla. Un acronimo che sta per “sclerosi laterale amiotrofica”, una malattia neurodegenerativa progressiva – conosciuta anche come “Morbo di Lou Gehrig”, “malattia di Charcot” o “malattia del motoneurone” – che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. L’incidenza si colloca attualmente intorno ai 3 casi ogni 100.000 abitanti/anno, e la prevalenza è pari 10 ogni 100.000 abitanti, nei paesi occidentali. Attualmente sono circa 6.000 i malati in Italia. La malattia colpisce entrambi i sessi, anche se vi è una lieve preponderanza nel sesso maschile. Purtroppo, la ricerca scientifica non è ancora riuscita ad individuarne le cause certe né ad approntare una cura risolutiva.
Ma l’impegno in questa direzione è forte e, in questi anni, sono stati fatti diversi passi avanti nella conoscenza di questa terribile patologia. L’ultimo riguarda uno studio multicentrico internazionale, che ha identificato un nuovo gene associato alla Sla. La ricerca (recentemente pubblicata su Science) rappresenta uno sforzo sinergico della scienza mondiale. Ad essa hanno partecipato anche due neurologi e ricercatori italiani – Vincenzo Silani e Nicola Ticozzi dell’Irccs “Istituto Auxologico Italiano”, Centro “Dino Ferrari”, dell’Università degli Studi di Milano – che hanno coordinato il Consorzio Slagen, costituito da sei centri di ricerca italiani esperti nella ricerca sulla Sla.
“La Sla, di cui negli ultimi anni tanto si è discusso – afferma Vincenzo Silani – per le sue relazioni con il gioco del calcio e, più recentemente, per l’Ice Bucket Challenge, è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni (le cellule del sistema nervoso che comandano i muscoli), determinando una paralisi progressiva di tutta la muscolatura. La malattia è letale in 3-5 anni e, a tutt’oggi, non esiste terapia efficace. L’attuale mancanza di farmaci in grado di curare la Sla è in gran parte una diretta conseguenza delle scarse conoscenze circa le cause e i meccanismi che determinano la malattia. Negli ultimi anni gli studi sulla genetica della Sla hanno iniziato a far luce su questi meccanismi, consentendo la creazione in laboratorio di nuovi modelli di malattia, fondamentali per lo studio di nuove molecole e farmaci”.
In pratica, nello studio realizzato, i ricercatori hanno confrontato il genoma di 2.874 pazienti affetti da Sla con 6.405 individui sani, riuscendo ad identificare un eccesso di mutazioni nel gene TBK1, codificante per la proteina TANK-binding kinase 1.
“Sebbene l’esatto ruolo biologico della proteina non sia pienamente compreso – spiega Vincenzo Silani -, si ritiene che TBK1 sia coinvolto, assieme ad altri geni associati alla Sla, nei processi di “autofagia”, cioè quei meccanismi con cui i motoneuroni sono in grado di eliminare i componenti cellulari danneggiati. Riteniamo che l’alterazione di questi meccanismi determini un progressivo accumulo di proteine anomale all’interno delle cellule, portandole a morte”. Le mutazioni del gene TBK1 osservate, quindi, suggeriscono che tra le cause determinanti della Sla vi siano anche alterazioni nei processi di autofagia e degradazione proteica. Sarà perciò di estremo interesse studiare questo nuovo meccanismo patogenetico, al fine di sviluppare terapie neuroprotettive efficaci.
Nonostante i progressi degli ultimi anni, comunque rimane ancora molto da fare per identificare completamente i fattori di rischio genetici associati alla Sla. Per questa ragione, i ricercatori del consorzio Slagen – costituito nel 2010 da Vincenzo Silani e da lui diretto – sono impegnati da anni in progetti di ricerca con l’obiettivo di sequenziare il genoma di tutti i pazienti Italiani affetti da Sla, per individuare nuovi geni e nuovi meccanismi patogenetici, indispensabili per capire le cause della malattia.
“Questa nuova scoperta – rileva con soddisfazione Mario Melazzini, presidente di AriSLA, Fondazione italiana di ricerca per la Sla, che ha supportato questo studio – rappresenta un ulteriore passo avanti che la ricerca sta compiendo in questi anni per la conoscenza dei meccanismi di esordio della Sla ed è una conferma del valore scientifico dei ricercatori italiani”.
Maurizio Calipari