Sciuti, esposto al Quirinale a cent’anni dalla morte

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Un secolo fa, il 13 marzo, moriva nella sua casa romana, a 77 anni, il pittore Giuseppe Sciuti, cittadino onorario della diletta Acireale e originario di Zafferana Etnea, eccellente ritrattista, decoratore teatrale ed affreschista scenografico. Suoi primi maestri furono tre artisti catanesi, lo scenografo Giuseppe De Stefani e i pittori Giuseppe Rapisardi e Giuseppe Gandolfo. Costui lo apprezzò per le spiccate doti artistiche, incoraggiandolo a proseguire gli studi a Firenze, dove dipinse, tra l’altro, “La Tradita” e “La Vedova” che ora si trovano al Castello Ursino. Nel 1867 si trasferì a Napoli e vi rimase per 8 anni, per frequentare la scuola realista di Domenico Morelli e Filippo Palizzi. Dal 1875 si trasferì a Roma dove s’accostò al verismo di Cesare Maccari. Il successo di “Pindaro” lo fece innamorare dei soggetti antichi che avrebbero costituito il motivo della sua effimera gloria una volta tramontata la “moda” della classicità.

La grande tela “Hic manebimus optime” suscitò l’ammirazione di re Umberto e della regina Margherita nonché di Crispi e di Torlonia. Quando compì 70 anni si trovava ad Acireale per affrescare il palazzo del cav. Andrea Calanna; accettò la commenda dell’Ordine della Corona d’Italia che il re gli conferì, dopo averla rifiutata alcuni anni prima.  Come ricorda Matteo Donato, in “Memorie e Rendiconti 1984” dell’Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici, l’artista rispondendo al ministro della P.I. il 26 febbraio 1904 così scriveva: “Eccellenza, da questo lembo incantato della nostra diletta Sicilia, da questa Aci gentile che tanti ricordi ha nell’arte e nella letteratura e che affettuosamente oggi mi ospita…”. Sciuti ringraziava cordialmente anche il sindaco di Zafferana, orgogliosa d’avergli dato i natali.

Fu il cav. Giuseppe Coco, presidente della Regia Accademia degli Zelanti di cui il pittore fu socio d’onore nel 1890, come lo sarebbe stato 10 anni dopo della Dafnica, a consegnare solennemente all’illustre concittadino, nel corso di una pubblica tornata accademica, le insegne di commendatore del Regno. La cerimonia si tenne al Teatro Bellini davanti alle più alte autorità cittadine, mentre nel Gabinetto di lettura degli Zelanti, al Municipio, furono esposti alcuni lavori acesi come il ricamo del grandioso tosello della basilica di S. Sebastiano e il quadro “Io sono la luce del mondo”. L’artista fu pure onorato con l’intitolazione della strada che ancor oggi ne porta il nome. Un numero speciale celebrativo dei festeggiamenti fu pubblicato dagli Zelanti.

   Sciuti operò anche a Sassari, Milano, Lugano, Salerno e Palermo dove fu chiamato ad affrescare le volte della sontuosa dimora dei Florio. Dipinse i sipari dei Teatri lirici Bellini di Catania, raffigurante un’immaginaria vittoria dei Catanesi sui Libici, e Massimo di Palermo, rappresentante “Ruggero che esce dal palazzo reale dopo l’incoronazione”. Fu affascinato più che dai ritratti dalle grandi tele, dalle alte cupole e dalle volte immense delle chiese e dai temi epici. La pittura dello Sciuti ha un chiaro riferimento al melodramma con le ambientazioni classiche che ricordano i kolossal cinematografici. Nella basilica Collegiata catanese di via Etnea dipinse, nel 1898, il santuario, la volta della navata centrale e la cupola sviluppando un grandioso tema iconografico: la consegna della bolla papale di erezione del capitolo canonicale della Collegiata, nel 1446, di Eugenio IV al beato frate domenicano Pietro Geremia, l’Assunzione della Vergine con un coro angelico, i Quattro Evangelisti, il Pellegrinaggio popolare all’edicola votiva della Madonna dell’Elemosina. A S. Agata la Vetere dipinse la grande pala d’altare della Madonna dei Bambini, voluta dal rettore can. Giuseppe Caff.

   Invitato dal vescovo Gerlando Maria Genuardi e dal capitolo della cattedrale acese decorò ad affresco la navata centrale del Duomo in considerazione del clima di affetto e di stima nutrito dalla cittadinanza nei confronti del grande artista considerato concittadino, essendo la madre acese, affinché “i nostri lontani nepoti”, come ebbe a scrivere il segretario della Zelantea, prof. Platania, “ammirando questo nuovo capolavoro del genio siciliano, potranno andare orgogliosi di appartenere a questa terra, ben a ragione detta la culla dell’arte”, anche con riferimento ai dipinti di Antonio Filocamo, Pietro Paolo Vasta, Francesco Mancini.

La scenografica rappresentazione si apre con l’Orchestra angelica con al centro S. Venera, circondata dal coro di 10 vergini, con una coppia di angeli che recano una palma con le corone del triplice martirio della Patrona e il cartiglio “Ave et laetare Parasceva Christi martyr gloria apostolatus inclyta”. Al centro dell’affresco il mistero gaudioso dell’Annunciazione, seguito dalla raffigurazione della Fede e dalla gloria del Padre Eterno ispirata all’iconografia bizantina. Nella Pinacoteca Zelantea si trovano i grandiosi cartoni preparatori oltre a un bellissimo capolavoro “Io sono la luce del mondo”. La tela raffigura la Vergine Madre, abbigliata come una popolana siciliana, che stringe in braccio il Figlio, con un luminosissimo sole che come un’aureola atmosferica svetta sul paesaggio di sfondo.

   Dipinse 150 lavori, quasi tutti di grandi dimensioni ed oggetto di lusinghieri giudizi dei critici d’arte. Mario Rapisardi lo onorò come “grandioso e luminoso poeta della tavolozza”. L’opera di Sciuti ‘Le gioie della buona mamma’, olio su tela raffigurante mamma che allatta il suo neonato (opera premiata a Melbourne nel 1877 e medaglia d’oro al Circolo artistico di Catania nel 1911) è stata esposta nelle Scuderie Papali del Quirinale, nel corso della rassegna “1861. I pittori del Risorgimento”, organizzata per i 150 anni dell’Unità d’Italia e attraverso l’iniziativa “Le sensazioni del Risorgimento” la si è resa fruibile anche dai non udenti e non vedenti.

                                                                                                                                   Antonino Blandini