Onestà, etica, scuola. Sono termini che “stanno insieme”, o almeno dovrebbero. Sul “Corriere della Sera”, qualche giorno fa, un commento titolava così: “Il dovere di insegnare l’etica nelle scuole”. E attaccava l’argomento con questa affermazione: “L’Italia è il Paese della cultura, della creatività, della moda e dell’imprenditorialità. Purtroppo, e sempre più, anche il Paese degli scandali. […] Un intreccio inestricabile di interessi tra politica, finanza, impresa e burocrazia sembra aver preso il posto di un agire etico, capace di promuovere e tutelare il bene comune”. Purtroppo si tratta di una constatazione facilmente condivisibile. Il commentatore argomentava poi variamente per sostenere la necessità di promuovere una “nuova cultura dell’integrità”, capace di orientare i più giovani e i loro comportamenti. Cultura per la quale l’apporto determinante può venire dalla scuola. Citando un recente studio Ocse, riferiva in particolare la necessità, per combattere la corruzione, di “combinare normative e controlli sempre più stringenti con una solida educazione all’etica e alla moralità. Questa educazione deve iniziare insegnando l’etica della buona cittadinanza nelle famiglie e nelle scuole”.
Giusto. A scuola, e prima ancora in famiglia, si impara a relazionarsi con gli altri, col mondo e con la società. I comportamenti incontrati fin da piccoli negli ambienti significativi sono quelli che tendiamo a fare nostri e a replicare. A scuola, in modo particolare, si dovrebbe essere aiutati a fare il salto della consapevolezza, cioè a riflettere sui comportamenti, con le gradualità necessarie alle età, e consolidare quegli apprendimenti che pure avvengono automaticamente, per promuovere orientamenti e stili di vita duraturi. Nella scuola italiana è ben noto il caso dell’educazione civica e del dibattito infinito sulla sua necessità, oltre che sulla sua scomparsa.
Ma il problema non è così semplicemente liquidabile, come se, appunto, bastasse una scuola più attenta – che pure ci vuole – per “risanare” la società. Sempre sul “Corriere”, e sempre nei giorni scorsi, un altro articolo rendeva conto di un esperimento interessantissimo riferito dalla autorevole rivista “Nature” sul rapporto tra corruzione, società e giovani, cercando di rispondere, in sostanza, al quesito se siano i cittadini a corrompere le istituzioni o se viceversa è l’organizzazione della società che quando è corrotta corrompe i suoi cittadini. Secondo lo studio “è la società che influenza il comportamento dei ragazzi e non il contrario, come dire che la corruzione corrompe”.
Insomma, non basta formare “bravi giovani”, a cominciare dalla scuola. Bisogna insieme ri-formare la società, le istituzioni, perché quella formazione dei giovani sia efficace. Un appunto “laterale” può aiutare a riflettere: si pensi alla questione del gioco d’azzardo, piaga sociale gravissima, di fronte al quale abbiamo lo scandalo di uno Stato promotore e fruitore di benefici (denari) letteralmente sulla pelle di persone e famiglie. Stato pilatesco, che si lava le mani con le pubblicità e gli avvertimenti sul “giocare con moderazione”. Dov’è il bene comune? E a chi tocca tutelarlo? Cosa può fare la scuola? O chi altro?
Tanti altri esempi si potrebbero fare, per dire che la questione dell’etica, dell’onestà e in fondo del bene comune è emergenza complessa. “Passarla” alla scuola – che pure deve fare la propria parte (e normalmente la fa) – rischia di essere fuorviante.
Alberto Campoleoni