Curiosa la coincidenza. Mentre si vara definitivamente la “Buona scuola”, ecco i risultati dei test Invalsi che fotografano una volta di più alcune situazioni critiche del sistema scolastico e, in particolare, nei meccanismi di apprendimento dei nostri studenti. Una coincidenza che sembra quasi rimarcare come sia assolutamente necessaria una scuola buona e, nello stesso tempo, fa riflettere sulle direzioni del processo riformatore. Processo, perché se è vero che l’iter parlamentare si è concluso, è anche vero che – come ha detto il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, subito dopo l’approvazione della legge – resta “molto da fare”, perché adesso “cominciano gli Stati generali della scuola e io invito tutti, dal governo alla politica, a mantenere la scuola al centro del dibattito, restino l’attenzione e la tensione su questo tema perché ora la scommessa è partita. C’è un testo unico da scrivere, ci sono le deleghe… È un’opportunità per tutti ma se non la cogliamo, la legge resterà solo sulla carta”.
Insomma, siamo a un punto di partenza. E la scommessa principale – prima ancora di dare corpo agli aspetti “tecnici” della riforma – resta quella di “costruire il consenso”, come ha detto ancora il ministro. Quel consenso che è andato deteriorandosi nei lunghi mesi della preparazione del disegno di legge, fino all’approvazione delle Camere. Quel consenso che, invece, ora diventa misura della responsabilità di chi governa la scuola e di chi la abita – in senso allargato – perché in un clima fortemente conflittuale è davvero difficile immaginare di fare il bene degli studenti, ai quali, in verità, la riforma è finalizzata.
E allora torniamo alle prove Invalsi, che parlano proprio degli studenti e delle loro difficoltà, restituendo una situazione in buona parte già nota ma che, purtroppo, sembra cristallizzata, con l’Italia che continua a marciare a velocità diverse: gli studenti del Centro-Nord mostrano risultati migliori rispetto ai compagni del Centro-Sud.
I risultati presentati nei giorni scorsi sono quelli delle prove a cui sono stati sottoposti tra il 6 maggio e il 19 giugno scorsi 2,25 milioni di alunni di 13mila scuole diverse, dalle primarie (classi seconde e quinte) alle secondarie di primo grado (classi terze) e di secondo grado (classi seconde). I dati rivelano la solita Italia a due facce, con gli studenti delle regioni del Nord che battono i coetanei del Centro, del Sud e delle Isole. Sia in italiano (comprensione del testo e grammatica) sia in matematica. Il rapporto Invalsi ribadisce che il quadro non è particolarmente preoccupante a livello di scuola primaria, mentre in terza media si accentua, confermando quanto emerge anche dalle indagini internazionali sugli apprendimenti: il Nord resta sopra la media nazionale, il Centro intorno alla media e il Sud e le isole al di sotto. Fra i tredici-quattordicenni lo scarto del Sud dal Nord raggiunge 14 punti in italiano (e addirittura 18 nelle isole) e 19 punti in matematica (22 nelle isole). E peggiora in seconda superiore, quando le differenze salgono, in italiano, a 18 punti per il Sud (20 punti per le isole) e 21 in matematica (26 punti nelle isole).
In particolare, oltre allo squilibrio, elementi di criticità nelle competenze dei ragazzi emergono nello svolgimento dei problemi di matematica e nell’affrontare testi espositivi, argomentativi e discontinui, per italiano.
Insomma, ha ragione il ministro, c’è davvero “molto da fare”.
Alberto Campoleoni