Continuiamo la nostra carrellata di interviste a docenti e dirigenti scolastici sull’esperienza della didattica a distanza, cui è costretta la scuola italiana dall’emergenza coronavirus. Abbiamo intervistato suor Maria Trigila delle Figlie di Maria Ausiliatrice, insegnante di Italiano e Comunicazione sociale al Liceo Classico della “Scuola don Bosco Ranchibile” di Palermo, giornalista professionista (prima religiosa italiana iscritta all’Albo in Sicilia) per sentire la sua esperienza di smart working (lavoro agile) al tempo del Covid 19; esperienza che, per molti, non vale quanto l’originale forma didattica perché l’interazione docente-alunno è mortificata da uno schermo e il metodo è un mero strumento di contenimento. Perché, come diceva Pascal: “L’uomo è talmente superficiale che non sa stare da solo”.
Suor Maria, di che tipo è il suo istituto e cosa insegna?
Da alcuni anni insegno alla “Scuola don Bosco Ranchibile” di Palermo. Scuola secondaria di primo e di secondo grado che accoglie oltre settecento alunni e ha tre indirizzi di scuola secondaria di secondo grado (classico, economico, scientifico) e due sezioni di scuola secondaria di primo grado.
Dispone di aggiornati laboratori: robotica, lingua araba, spagnolo ed inglese e di una vera e propria scuola di teatro. Da alcuni anni ha un ufficio stampa in cui si realizzano prodotti multimediali sulle attività didattiche educative della scuola. Il giovane è proprio il protagonista della “Scuola don Bosco”.
Insegno Italiano e Comunicazione e conduco un laboratorio di giornalismo per i ragazzi del biennio. La scuola è gestita dai miei fratelli Salesiani. Insieme a me è docente anche suor Rosaria Norrito che insegna Latino e Greco. La richiesta di collaborazione o, meglio, direi di reciprocità è stata avanzata dai salesiani per condividere finalità ed obiettivi di un progetto che sottolinea una compresenza educativa e culturale per la formazione integrale degli alunni. L’intento è testimoniare che insieme possiamo interrogarci e fornire delle risposte adeguate alla sfida del relativismo culturale ed etico ed oserei dire antropologico che la società ci pone. E, di conseguenza, che l’attenzione privilegiata di San Giovanni Bosco per i giovani è sempre viva. Un carisma che segna il passo dei tempi.
Nella vostra scuola, da quando avete adottato lo smart working, nello specifico la didattica a distanza?
Da subito. Dopo due giorni dall’emergenza Codiv-19. Il mercoledì 10 marzo, dopo il compito in classe, rientrai a Catania. Ero ancora in pullman quando il direttore, don Domenico Saraniti, mi avvisava circa le nuove disposizioni a causa della pandemia: dall’indomani i cancelli della scuola rimanevano chiusi e nella circolare, posta nella bacheca di ClasseViva, comunicava la modulazione del nuovo orario per la didattica a distanza.
La scuola si è quindi subito organizzata, il direttore, insieme al preside, Nicola Filippone, ed i responsabili del triennio, don Antonino Santoro, e del Biennio, Nicola Sacco, ha immediatamente pilotato l’emergenza. Nessuno di loro ha indugiato perché questa scuola, oltre ad essere 2.0, è di riferimento educativo-culturale per la città di Palermo. Dispone poi di vari laboratori tra cui quello di robotica, di comunicazione, ufficio stampa con angolo regìa per confezionare il telegiornale informativo delle attività didattiche e culturali e di rubriche che periodicamente l’ufficio stampa inoltra agli studenti e ai genitori. Basta digitare in Google “Scuola don Bosco Ranchibile” e da vari social emerge la variegata presenza educativa-culturale e pastorale della scuola sul territorio.
Utilizzavate regolarmente i sistemi di smart schooling (didattica veloce), come sistema innovativo di apprendimento?
Si. Ancora prima di prendere servizio in questa scuola, il direttore mi chiese se avessi familiarità con il sistema operativo Apple e Windows. E se avessi un IPad per utilizzarlo didatticamente. In verità, le due mie attenzioni al mondo letterario e della comunicazione pratica mi hanno sempre sollecitata ad aggiornarmi e a studiare nuove strategie per la didattica. Prima della pandemia utilizzavo la metodologia dello “smart schooling” per alcune lezioni di giornalismo, in particolare per la confezione del telegiornale. Da Catania mi collegavo con i ragazzi, che erano nelle proprie case, per concordare il palinsesto ed il menabò e visionare il podcast. Ho degli allievi molto abili nell’ambito tecnologico, che hanno buone competenze digitali, li chiamo i tecnici dell’ufficio stampa. Ho cercato di far comprendere ai ragazzi che la formazione a distanza non è solo una piattaforma digitale, ma un metodo. Certamente tutto questo lo possiamo fare perché l’economo, don Arnaldo Riggi, ha attrezzato la scuola con strumenti tecnologici adeguati.
Con le lezioni interattive, con quanti studenti si interfaccia?
Quasi quotidianamente mi interfaccio con circa 60 allievi o per la lezione o per conversare oppure per programmare.
Lezioni a distanza o in differita (permettendo agli alunni di collegarsi quando vogliono)?
Le lezioni sono sempre in tempo reale. Ogni docente segue un orario di lezione di 40 minuti con 20 minuti di pausa per evitare lo stress dei ragazzi nell’avere rigorosamente sguardo e mente rivolti al monitor.
Oltre le ore di lezione formali e i collegi docenti di prassi, moltissime volte sono coinvolta in riunioni di lavoro con whatsapp web, organizzate dagli stessi alunni. Questi i messaggi in chat: “Suor Maria oggi alle ore 15.30 riunione per discutere su questo determinato problema”. “Suor Maria abbiamo una questione da verificare e pianificare per condividere il programma di montaggio del tg”. Questo è uno dei lati positivi di questa didattica. Alla parola “distanza sociale” abbiamo cercato di sostituire il “coinvolgimento sociale”. I ragazzi sono riusciti ad azzerare le distanze e ad impegnarsi nel montaggio, e a dare delle dritte ai compagni che erano a casa su come girare un video. In questo modo non c’è stato uno stop sulle attività ma solo una riconversione. E sono molto contenta.
Come si è trovata? La vostra scuola era già informatizzata e digitale?
Benissimo. La “Scuola don Bosco”, da oltre trent’anni, ha come materia di studio l’informatica e ha sempre colto la novità culturale. Così è già da un decennio che guida sulle autostrade digitali.
Questo tipo di strumento, secondo lei, crea ombre certamente ma anche potenzialità e cos’altro?
Non mi soffermo sulle ombre. Vorrei invece sottolineare un elemento che ho riscontrato nell’apprendimento dei ragazzi: la didattica a distanza ha favorito la capacità di concentrazione degli alunni perché fa loro vivere la lezione come insegnamento individualizzato.
Credo che trovarsi da soli davanti ad un ipad ed avere nelle orecchie la voce del docente abbia aiutato a fermarsi ed a riflettere di più.
Ritiene che sia in corso, nella scuola, nella famiglia, nella società italiana tutta, un profondo cambiamento culturale, organizzativo, specificatamente digitale? Pensa che siamo pronti?
Non so se siamo pronti ad affrontare la rivoluzione digitale. Perché dovremmo essere capaci a cambiare i criteri di valutazione, a considerare l’interattività in tempo reale filtrata da uno strumento, e ciò implica una maggiore attenzione alla persona per cogliere dalle tonalità della voce le emozioni. Il computer rende meno terso un battito di ciglia di fronte ad una difficoltà, un gesto o un movimento facciale dell’allievo/a. Viene a mancare la lettura del linguaggio del corpo, che non si può sostituire con la didattica a distanza. Sono stata così costretta ad avere occhi di aquila.
Questa nuova possibilità d’insegnamento fa parte del futuro, ma nell’oggi entra in punta di piedi. Un simile cambiamento toccherebbe tutti gli ambiti e le agenzie educativi: dalla famiglia alla società. Tutto sarebbe alla portata di un click con passi graduali. Secondo me, si dovrebbe affrontare innanzitutto in sé la digitalizzazione e definire le caratteristiche della cultura digitale. Perché parliamo di un significativo cambio di paradigma. È vero: non siamo pronti, ma è la strada da percorrere. Senza nulla togliere alla didattica frontale e alla valutazione sommativa.
Come avete fatto a impadronirvi della funzionalità degli strumenti tecnologi? Avete ricevuto degli aiuti?
La problematica affrontata in questi ultimi mesi dalla scuola paritaria e del dibattito delle organizzazioni dei religiosi Usmi e Cism in Italia con il governo sono stati proprio perché la scuola paritaria è fuori, almeno fino a qualche giorno prima del “rumore educativo”, da un piano di contributi finanziari. Sino a questo momento gli strumenti e le licenze delle piattaforme per la didattica a distanza sono state tutte a carico della scuola, delle famiglie e dei docenti. Ci siamo comunque attrezzati dignitosamente.
La didattica a distanza, come istituzione scolastica, non ci ha trovati impreparati, come le dicevo prima. Oltre a tesorizzare la preparazione personale di ciascun docente, abbiamo seguito corsi di formazione a distanza organizzati dalla Apple, da TuttoScuola, personalmente ho avuto l’opportunità di ascoltare ed elaborare degli input in merito alla didattica a distanza promossi da alcune Università. Spesso dico a me stessa che oggi, senza confronto culturale e senza lavorare in rete, abbiamo vita breve, in qualsiasi campo, non solo nella scuola.
Per chi non ha un pc o, ancor peggio, non ha la possibilità di un accesso ad internet (affermazione rispondente alla realtà, perché secondo l’Istat, riguarda un terzo delle famiglie italiane) che misure avete adottato?
I nostri ragazzi non si sono trovati in queste condizioni perché tutti hanno un IPad. E, comunque, a ciascuno abbiamo sempre inviato materiale didattico da supporto come slideshow.
I ragazzi come vivono questa nuovo modo di far scuola e quanto rendono?
La didattica a distanza non ha azzerato nei ragazzi la voglia di imparare, di conoscere né ha favorito la pigrizia. Li ha, a mio avviso, sollecitati a non essere qualunquisti nell’apprendimento. Ho cercato di motivarli pedagogicamente. L’ho notato nelle interrogazioni che chiamo conversazioni di competenza perché in ciascuno ho rilevato la capacità di aver fatto proprio un’idea, un concetto, ed anche nell’agilità di saper controbattere o sostenere una tesi, una propria opinione. Ad un item di interventi didattici sono seguite conversazioni di competenza in cui ho raccolto buoni risultati. I ragazzi, quindi. hanno registrato positivi feed-back. Anche lo stesso profitto dell’alunno, rilevato dalle conversazioni, è stato funzionale allo sviluppo della mia stessa didattica ossia utile per scegliere la metodologia e la strategia educativa più adeguata.
Come immagina il giorno in cui incontrerà di nuovo fisicamente i suoi alunni?
Sarà come toccare il sole. Finalmente rivedrò i loro volti senza filtri per esprimere con il carattere della nostra sicilianità i capitoli di questa pandemia.
Maria Pia Risa