E vai col tormentone. Periodico. Ci avviciniamo al termine dell’anno scolastico e c’è già chi discute dei compiti delle vacanze: utili, inutili, o addirittura dannosi?
Se ne parla, naturalmente, anzitutto sul web, patria di ogni discussione, forse anche per la facilità con cui si possono esprimere le opinioni nella piazza virtuale e soprattutto per la rapidità con cui si moltiplicano. Basti pensare al meccanismo semplicissimo del “mi piace” sui social network. Si lancia un’idea, un’opinione – magari nemmeno troppo argomentata, del resto non serve – ed è come gettare un sasso nello stagno: immediatamente si moltiplicano i cerchi concentrici nell’acqua, si ingrandiscono e vanno lontano.
Tornando ai compiti, online è attivo da tempo un movimento “Basta compiti”, che raccoglie adesioni e documenti sul tema dei compiti a casa. Il gruppo si presenta come nato su Facebook “per promuovere e sostenere azioni volte a superare una pratica inutile e dannosa”, i compiti a casa, appunto. Vuole favorire “la riflessione e il confronto tra i partecipanti, la condivisione di proposte e la segnalazione di possibili alternative didattiche”. Sempre online circola da tempo una petizione su Change.org. Quasi 5 mila le firme già raccolte per abolire i compiti a casa nella scuola dell’obbligo. Compiti che sono considerati “inutili”, “dannosi”, “discriminanti”, “impropri”, “limitanti”, “stressanti” e “malsani”. Insomma, una vera iattura. A coronamento della petizione, la Carta internazionale dei diritti dell’infanzia, all’articolo 31: “Gli Stati membri riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…”.
A ben vedere, compiti a casa e compiti delle vacanze non sono la stessa cosa. E forse, volendo approfondire la discussione, bisognerebbe distinguere. Un conto, infatti, è prevedere l’estensione del lavoro scolastico, quotidiano, con l’applicazione a casa di esercizi, studio e letture varie. Diversa invece è la questione di “occupare” lo spazio delle vacanze scolastiche con ripassi ed esercitazioni. Tuttavia sembra esserci una questione di fondo che accomuna le diverse situazioni e riguarda l’utilità del lavoro individuale e autonomo oltre che rimandare ai “limiti” della scuola. Questione, peraltro, da considerare con attenzione in rapporto alle diverse età dei ragazzi e ai diversi ordini e gradi di scuola. Appare evidente che studiare “da sé” alle elementari è ben differente rispetto a farlo alle superiori. E se è vero che lo spazio da dedicare al gioco e allo svago – considerando tra l’altro che si tratta anche in questi casi di forme di apprendimento – ha un peso “esteso” per un bambino, è altrettanto chiaro che ben diverso significato assume per un adolescente. Adolescente, tra l’altro, che forse viene idealizzato nella sua capacità di auto motivarsi a spaziare tra interessi molteplici, fuori dalla “costrizione” del mondo degli adulti e della scuola in particolare. In realtà, spesso il tempo libero degli adolescenti rischia di essere tempo “vuoto”, per molti compreso “dal letto al divano”, con o senza la supervisione degli adulti.
Allora che fare? Compiti o no? Dirigismo oppressivo o vuoto creativo?
Forse la soluzione migliore è fidarsi degli insegnanti, che con i ragazzi – piccoli e grandi – passano la gran parte del tempo e dovrebbero essere in grado di valutare cosa può servire loro. Nei pomeriggi dell’anno scolastico come nelle lunghe giornate estive. Con esperienza, competenza e tanto sano suon senso.
Alberto Campoleoni