Quanti di noi salirebbero su un aereo se sapessero che alla cloche c’è un pilota “stressato”? E quanti affiderebbero la propria salute a un medico che soffre di depressione o ansia? Pochi o nessuno.
E chi affiderebbe i propri figli, a scuola, a insegnanti “bolliti”, stressati dal proprio lavoro al punto da non poterne più, stanchi e sfiduciati? La domanda non è peregrina perché la categoria degli insegnanti è proprio tra le più colpite dalla sindrome del “burnout”, il cosiddetto “esaurimento”. Uno studio pubblicato l’anno scorso, commissionato dall’Inpdap, ha monitorato a lungo i dipendenti pubblici, evidenziando che l’insegnamento è una professione usurante, soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche maggiore rispetto alle altre categorie della Pubblica amministrazione. Dall’analisi, in particolare, è emerso che sono molte le condizioni “stressogene” cui sono sottoposti i docenti. In particolare, il rapporto con gli studenti e i genitori, le classi spesso troppo numerose, la situazione di precariato che si protrae per anni, la conflittualità tra colleghi, la costante delega da parte delle famiglie, l’avvento dell’era informatica e delle nuove tecnologie, il continuo susseguirsi di riforme, la retribuzione insoddisfacente e, non ultima, la scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica. Secondo Vittorio Lodolo D’Oria, medico, tra i massimi esperti sul tema del burnout, “ad ammettere di essere stressato per il lavoro ripetitivo e logorante è quasi l’80 per cento di chi lavora dietro la cattedra”. Con un’accelerazione negli ultimi anni. In un un’intervista a “La tecnica della scuola” l’esperto spiegava che poi “ci sono le vere e proprie patologie. E anche in questo caso non c’è da sottovalutare la situazione. Perché dalle ultime rilevazioni risultano almeno 24mila psicotici e 120mila depressi nella categoria”.
Non è difficile comprendere il quadro. Se si pensa alle condizioni del mondo della scuola, alle conflittualità che spesso si incontrano, ad esempio nei rapporti scuola-famiglia, al clima generale d’insoddisfazione e d’incompiutezza che talvolta si percepisce intorno al mondo scolastico, all’incertezza che ne definisce i confini. Per fare un esempio, si pensi alle problematiche educative e anche solo di gestione in classe legate all’invadenza delle nuove tecnologie, alle “relazioni digitali”. E si potrebbe andare avanti.
Il punto, comunque, è che l’insegnamento è una professione “a rischio” e conviene esserne consapevoli e cercare di prevenire. In questa direzione va l’attivazione, nelle scorse settimane, del primo corso per dirigenti scolastici proprio sul “burnout” degli insegnanti. Sono stati coinvolti oltre 20 presidi, che tra l’altro hanno come compito, affidato dalla legge, anche quello di monitorare il benessere del personale e attivare la prevenzione.
Bene la formazione, dunque. Sono poi importanti i controlli e i sostegni adeguati, sul campo. Tuttavia serve probabilmente qualcosa “a monte”. Diventa sempre più importante promuovere un clima positivo, un “sentiment” favorevole al mondo dell’educazione e della scuola, che ha bisogno non solo di dichiarazioni ma di segni concreti. Risorse, riforme efficaci, promesse mantenute, per ridare slancio al sistema ed energia ai suoi protagonisti. Su questa strada si è incamminata la politica della “Buona scuola”.
Alberto Campoleoni